A distanza di un giorno dall’articolo di Wolfgang Munchau “Why Monti is not the right man to lead Italy” il Financial Times è tornato sul luogo del delitto occupandosi ancora della situazione politica italiana a poche settimane dalle elezioni nazionali. L’articolo di cui sopra demoliva Monti, reo di aver introdotto “modeste riforme strutturali”, di non essersi opposto alla Merkel e alla sua politica di austerità, sostenendo infine che l’unico Mario che gli italiani devono ringraziare per la riduzione dello spread sta a Francoforte e di cognome fa Draghi.

Perplessità venivano espresse anche su Bersani, per essere stato favorevole alle misure di austerity e per aver esitato a introdurre riforme strutturali. Berlusconi, paradossalmente, era quello che ne usciva meglio, pur con le puntualizzazioni sui pochi dettagli del suo programma anti-austerity e con le inevitabili perplessità derivanti dalla sua lunga militanza politica che non lo esentano da responsabilità.

Le tesi contenute nell’articolo sono però state ritenute il pensiero di un giornalista notoriamente avverso alla Merkel e fortemente contrario alle politiche di austerity; in sostanza, secondo le critiche, le tesi erano espressione se non di un pregiudizio almeno di una forte e magari criticabile opinione sulle migliori ricette per far uscire la zona euro dalla crisi. Difficilmente però il Financial Times potrà prendere le distanze dall’articolo senza firma di ieri. Le ultime vicissitudine politiche italiane suggeriscono che l’opinione “estera” e dei mercati finanziari sia decisiva e in alcuni casi determinante. L’attenzione dei mercati per le prospettive economiche dell’Italia riflette il suo status di terza economia dell’area euro con il terzo debito del globo, per cui diventa inevitabile, tanto più in questa fase di incertezza economica e confusione politica.

La premessa, secondo il Financial Times, è che il governo Monti, insieme all’azione decisiva della Bce, ha aiutato a ristabilire la credibilità fiscale italiana, ma la competitività dell’Italia dall’inizio della crisi non è migliorata, la produttività è ferma e il costo del lavoro non è diminuito. L’accento sul contributo “decisivo” della Bce si inserisce perfettamene in quella che è ormai diventata l’interpretazione autentica, almeno all’esterno dei confini italici, delle vicende finanziarie del nostro Paese degli ultimi mesi. Il reponsabile della riduzione dello spread è stata la Bce e il suo Presidente; l’affermazione è supportata da una tale mole di fatti finanziari-economici da essere ritenuta ormai pacifica. Nel processo di riduzione dello spread il contributo di Monti è stato, nella migliore delle ipotesi, secondario.

Fatta la premessa arriva il giudizio del quotidiano dei mercati finanziari sui tre candidati alla poltrona di primo ministro; Berlusconi, Monti e Bersani. Occorre, secondo il Financial Times, un leader affidabile che abbia un programma economico credibile. Su questo metro di giudizio vengono valutati i candidati. Berlusconi manca sia di credibilità che di affidabilità, avendo portato l’Italia sull’“orlo del precipizio fiscale”; ma alcuni elementi del suo programma, tagli alla spesa per abbassare le tasse alle imprese, sono condivisibili; rimane però il fatto che il Cavaliere ha “promesso molto e ottenuto niente”.

Bersani ha credibilità personale, ha approvato alcune liberalizzazioni, ma rischia di essere ostaggio della sinistra del suo partito, in particolare per quanto riguarda l’inefficiente mercato del lavoro. Monti, invece, non ha ancora spiegato chiaramente dove troverà le risorse per abbassare le tasse.

In conclusione, l’Italia ha la potenzialità per ritornare a una crescita; mentre Monti e Bersani, sempre secondo il Financial Times, dovrebbero usare le prossime elezioni per rendere possibile un nuovo inizio. “Questo permetterà agli elettori di fare una vera scelta sul futuro dell’Italia”.

L’alleanza Monti-Bersani piace ai mercati ed è data per vincente, almeno dal FT, nonostante le perplessità su alcuni punti importanti del programma economico. Si tratta comunque di un “meno peggio” e di una sorta di scelta obbligata. La puntualizzazione arriva dopo un articolo, quello di Munchau di lunedì, in cui era lecito leggere tra le righe che, quasi quasi, il meno peggio era Berlusconi. La suggestione evidentemente non era così infondata ed è stata necessaria una rettifica. Rimane poi la sensazione che, per convenienza o meno, si stiano rivalutando i “fondamentali” economici e finanziari dell’Italia, mentre rimangono le preoccupazioni per politici non ritenuti all’altezza.

È comunque una novità rispetto agli scenari che venivano dipinti dodici mesi fa e che mettevano l’Italia senza troppe distinzioni insieme a Grecia, Spagna e Portogallo dimenticandosi, con una buona dose di malafede, delle notevoli differenze. Nello scenario che si sta delineando si intravede la possibilità concreta di un periodo di grazia finanziaria per il sud Europa, Italia inclusa. Il prossimo governo potrebbe trovarsi ad agire con un sostegno finanziario reale dei mercati e dell’Europa e senza quel pregiudizio negativo che spesso ha contraddistinto gli investitori. Come inizio non è poco.