Negli ultimi giorni le discussioni sull’ennesimo salvataggio di Alitalia si sono sprecate e molti si sono interrogati sull’utilità di provare a salvare ancora una volta una società che ha collezionato performance economiche disastrose con una lista di colpevoli particolarmente lunga, dagli azionisti fino ai sindacati. Uno dei punti più dibattuti è stata la partecipazione all’aumento di capitale per 75 milioni di euro di Poste italiane; l’accusa, oltre ai dubbi sulla bontà dell’investimento, sarebbe quella di un aiuto di stato per un’azienda dai deboli risultati economici. È balzata agli onori della cronaca la reazione di British Airways la cui holding, Iag, si è espressa in questo modo: “Ci aspettiamo che la Commissione europea intervenga per sospendere questo aiuto manifestamente illegale”.



Come ampiamente prevedibile, il Financial Times ha messo la vicenda sotto la lente di ingrandimento. Lunedì, con un articolo dal titolo “Letta’s faux pas”, si sono levate grida contro “l’ondata di protezionismo in Italia che rischia di spaventare gli investitori” e che getterebbe “un’ombra sulla sincerità di Letta”. Ieri il Financial Times ha rincarato la dose, con “l’Unione europea che avverte l’Italia” e un lungo pro-memoria sui rischi che si corrono violando le regole europee sugli aiuti statali.



A prescindere da qualsiasi valutazione sull’opportunità o meno dell’intervento del governo in Alitalia e se l’investimento di Poste italiane sia o no un aiuto di stato, è praticamente impossibile non leggere questi commenti con una certa sorpresa. Tanto per fare un esempio, ieri con toni decisamente meno accesi sul FT si riportava la notizia del possibile investimento del governo francese in Peugeot-Citroen per 1,5 miliardi di euro per preservare la francesità del gruppo e i 100 mila lavoratori d’Oltralpe con il gruppo cinese Dongfeng Motor che entrerebbe, in accordo col governo di Parigi, per un identico importo. Il governo francese e il gruppo cinese salirebbero a circa il 20% ciascuno del gruppo, mentre gli attuali azionisti, inclusa General Motors, verrebbero significativamente diluiti.



Questo “rumour” arriva una settimana dopo quello che voleva la stessa Dongfeng in trattative con Peugeot per rilevare il 30% della società circa con un investimento di 1,25 miliardi in aumento di capitale senza alcun intervento del governo francese. Stiamo quindi parlando di un investimento da oltre un miliardo di euro che cambierebbe il controllo di un gruppo automobilistico che non pare avere particolari caratteristiche di strategicità; non si tratta di difesa, di un monopolio, di una rete non replicabile, ecc. Ricordiamo che all’inizio del 2009 il governo francese concesse a Renault e Peugeot 3 miliardi di euro ciascuna di finanziamenti agevolati come contropartita al mantenimento dei livelli occupazionali su suolo francese durante la crisi.

La domanda inevitabile è come sia possibile una tale differenza di attenzione mediatica per due casi “quantitativamente” e “qualitativamente” così diversi; se l’intervento di poste italiane da 75 milioni di euro è un aiuto di stato che farà scatenare l’Unione europea, cosa sarebbe l’intervento del governo francese in Peugeot e, soprattutto, quanto la stampa “liberista” se ne dovrebbe occupare ancora prima che accada? Tutto questo in riferimeno a un Paese, l’Italia, che negli ultimi anni ha perso asset di pregio e strategici senza quasi fiatare.

A proposito del Regno Unito, ricordiamo gli ingenti interventi, per esempio, nel settore bancario che fanno sembrare quelli del governo italiano delle mancette. È inoltre ancora fresco l’intervento diretto del presidente degli Stati Uniti Obama per tutelare i brevetti di Apple contro Samsung in un caso che diversamente avrebbe potuto pendere pericolosamente in favore dei coreani.

Questa disparità di attenzione mediatica, di reazioni e di critiche è davvero “inspiegabile”, perché nessuno sembra incolpevole e perchè l’Italia di tutto può essere accusata tranne che di essere stata protezionista anche in riferimento agli episodi eclatanti accaduti appena al di là delle Alpi. Le ragioni di questa disparità non sono immediatamente chiare, almeno a chi scrive; di certo, però, complessi di inferiorità o sensi di colpa sembrano davvero fuori luogo.

 

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