Ieri si è tenuta l’assemblea di Telecom Italia richiesta dall’azionista Findim (Fossati) per ottenere la revoca del cda; il 50,3% del capitale presente in assemblea ha votato contro la revoca (42,3% favorevole 7,4% astenuto). L’ultima puntata della saga Telecom finisce quindi senza stravolgimenti e da lunedì si riprenderà con i problemi e le questioni per un attimo accantonate. Si ricomincerà quindi a discutere di italianità, del ruolo di Telefonica, della cessione della controllata brasiliana Tim Brasil e della bravura e adeguatezza o meno del management.

Non è però semplice districarsi nella quantità enorme di informazioni, rumours, ipotesi, fatti e dichiarazioni che nelle ultime settimane hanno riguardato e riguarderanno anche in futuro, più o meno da vicino, l’universo Telecom Italia; negli ultimi anni, da questo punto di vista, la società non ha deluso, visto che eventi societari o corporate, anche traumatici, hanno contraddistinto la storia dell’ex monopolista telefonico italiano. Per comprendere quello che sta accadendo si deve isolare la sostanza dei problemi di Telecom Italia da tutto il resto. Soprattutto in una fase concitata come quella recente, il rumore di sottofondo rischia di coprire tutto dando l’impressione che si sia di fronte a un magma indistinto di ipotesi, fatti e protagonisti che alla fine della storia si equivalgono nella loro irrelevanza. Non è così.

Nel recente passato è stato un cambio nell’azionariato a determinare una nuova fase per Telecom Italia. Le istituzioni finanziarie italiane presenti nell’azionariato di Telco (principale azionista di Telecom Italia) hanno deciso di vendere le proprie quote a Telefonica. Con la cessione, Telefonica è diventata di fatto il controllore di Telecom Italia; il gruppo spagnolo però ha diversi potenziali conflitti di interesse con Telecom Italia, dato che entrambe controllano società direttamente concorrenti in Brasile. Telefonica ha una posizione patrimoniale non particolarmente forte e pare molto più interessata a condizionare l’operatività di Telecom Italia in Sud America per evitare evoluzioni che la danneggino rispetto ad altri obiettivi. In sostanza, con un investimento non particolarmente impegnativo Telefonica ha salvaguardato i propri, preziosi, investimenti in Sud America e in particolare in Brasile. I problemi strategici di Telecom Italia in questa situazione difficilmente possono essere risolti, perché, tra le altre ragioni, l’azionista principale, Telefonica, semplicemente non sembra averli tra le proprie priorità.

I “problemi strategici” sono riconducibili a due temi principali, uno economico-finanziario e uno di azionariato-governance. Quello economico finanziario, visibile anche nella deludente performance del titolo, è relativo a un debito troppo elevato rispetto ai risultati attuali del gruppo. Gli oneri finanziari nel 2013 si “mangeranno” quasi il 20% dell’utile operativo del gruppo. In un settore che richiede investimenti ingenti e per un gruppo che ha uno stock di debito elevato questa è una situazione difficile da sostenere e che condiziona pesantemente la società. Ci sarebbe con ogni probabilità bisogno di un aumento di capitale, ma nessuno vuole mettere soldi in un settore così competitivo, con investimenti così ingenti oltre tutto fortemente condizionato dalle authority che determinano le tariffe e dalla “politica”.

Nel capitolo dei problemi economico finanziari c’è, forse ancora più importante di quello del debito, quello della remunerazione degli investimenti in fibra. Una parte dei problemi deriva dalla competizione, serrata, un altro da authority che fissano tariffe probabilmente troppo basse; c’è infine anche un tema di “accessibilità alla rete” perchè un gruppo che dovesse guardare solo ai margini investirebbe, per esempio, tanto a Milano e Roma e niente nel classico sperduto paese di campagna.

Il problema di governance/controllo è quello che emerge quando si sente parlare di “italianità” o di garanzie sull’azionista di controllo. In sostanza, il governo, molto comprensibilmente, vorrebbe un azionista che fosse intenzionato e propenso a continuare a investire su un asset strategico come la rete che è diventato evidentemente irrinunciabile. Non solo, come emerso anche dai recenti scandali “diplomatici”, la rete è in quanto tale sensibile per un governo di uno Stato che voglia rimanere indipendente.

L’esito dell’assemblea di ieri non cambia in nessun senso questo scenario. Servirebbe un manager o azionista che affronti i problemi economici e finanziari e sappia dialogare con le authority e servirebbero anche azionisti disposti a investire in Telecom, non nelle holding che la controllano. Le ipotesi più o meno fantasiose che emergono dovrebbero essere giudicate avendo in mente i problemi di cui sopra. L’ipotesi recente di fusione con le Poste che pure è stata, incredibilmente, uno dei tanti rumor, garantisce al gruppo un nuovo azionista forte, ma probabilmente non porta molto in termini di strategie. L’ipotesi di fusione con Mediaset, invece, per esempio, avrebbe certamente più senso purchè si precisi che le vere sinergie non sono quelle tra tv e telecom, ma tra pay per view e telecom (come dimostra la recente operazione di British Telecom sui diritti sportivi in Inghilterra).

L’esito dell’assemblea di ieri non solo non risolve i problemi della società, ma nemmeno aumenta la probabilità che vengano risolti in futuro. Si useranno quindi tante parole e righe per dipingere scenari, schieramenti e fazioni con dietrologie più o meno fondate mettendo in secondo piano la realtà di un gruppo che langue senza una vera strategia, vittima di speculazioni di breve periodo e sempre a rischio di essere piegato a esigenze del tutto estranee a quelle della creazione di valore stabile per la società, per tutti gli azionisti e per chi ci lavora.