Se qualcuno si dovesse chiedere perché in questo momento la borsa stia sprofondando ecco la spiegazione semplice semplice. Ieri sera, ora italiana, è stato pubblicato il verbale della Federal Reserve relativo al meeting di gennaio in cui si trova, tra le altre, la seguente frase “un numero (number nell’originale) di partecipanti ha dichiarato che una valutazione dell’efficacia, dei costi e dei rischi degli acquisti di asset potrebbe indurre il comitato a restringere o fermare i suoi acquisti prima che (il comitato) abbia ritenuto che un sostanziale miglioramento del mercato del lavoro si sia manifestato”. Nelle pieghe del comunicato quello che emerge è anche che per alcuni membri (several nell’originale) la riduzione degli acquisti potrebbe essere rischiosa, per via dei potenziali effetti negativi sull’economia, mentre altri hanno “espresso preoccupazione per i potenziali incentivi a un eccessivo rischio e conseguenze negative per la stabilità finanziaria” della politica economica accomodante della Fed. Merita di essere sottolineato, come opportunamente ricorda il Financial Times, che il “number” è più di “several”.

I mercati finanziari degli ultimi mesi e anni sono stati caratterizzati in modo determinante dalle politiche monetarie della Fed che per sostenere il sistema finanziario, a pezzi dopo il crac Lehman, e poi la fragile economia americana, con un mercato del lavoro ancora lontano dalla completa guarigione, ha inondato i mercati di liquidità. La cartina di tornasole di queste azioni si può trovare nel prezzo delle commodities (petrolio in primis) ai massimi, in quello dell’oro duplicato dall’autunno del 2008, in un mercato azionario americano ai massimi di sempre (nonostante la fragile ripresa) e infine in una bolla sul mercato delle obbligazioni.

Il problema che si pone oggi è che la cura della Fed per mercati ed economia ha delle controindicazioni piuttosto evidenti, sia in termini di rischi di inflazione (il prezzo della benzina alla pompa, per esempio), sia in termini di cattive abitudini sui mercati che rischiano di impiegare la liquidità a bassissimo costo per ottenere rendimenti a tutti i costi, comprando a qualsiasi prezzo. Quest’ultimo comportamento pone rischi di stabilità finanziaria del medio lungo termine, perchè incentiva a investimenti sbagliati e determina quelle bolle da liquidità che sono state all’origine della crisi.

Le politiche della Fed hanno contraddistinto i mercati degli ultimi 5 anni, ma è evidente a tutti che non potranno durare per sempre. I virgolettati di cui sopra testimoniano che qualcuno ai piani alti della banca centrale americana si stia chiedendo se non sia il caso di ridurre l’immissione di liquidità prima che venga raggiunto lo scopo, il miglioramento del mercato del lavoro, per cui è stata decisa. La conseguenza della pubblicazione dei verbali di ieri è stata da subito evidente sui mercati con un calo brusco di oro, petrolio, azioni accompagnato da un apprezzamento del dollaro.

Nessuno sui mercati è all’oscuro delle minacce e delle nubi che gravano sui mercati di oggi, ma in un certo senso sono sparite dall’orizzonte temporale degli investitori perchè vale sempre l’assunto che il mercato è pieno dei “cadaveri” di chi ha avuto le idee di investimento giuste ma il timing sbagliato. Chi, tra gli investitori, fosse andato corto di azioni, obbligazioni dodici mesi fa, oggi potrebbe raccontare di quanto avesse avuto ragione seduto sulle panchine del parco mentre dà da mangiare ai piccioni. I verbali di ieri riportano prepotentemente l’attenzione dei mercati su quello che sta accadendo e sui rischi che sono stati accantonati e dimenticati in una fase di liquidità gratis per tutti.

È davvero difficile ipotizzare che la Fed dia seguito nel breve-medio periodo a un cambio di politica monetaria che in questa fase sarebbe devastante per la fragile riprese degli Stati Uniti e del globo. La Fed, intesa anche come “capofila” delle banche centrali, sottolinea però la straordinarietà del proprio intervento che non deve essere dato per scontato come la normalità dei mercati e serve un assist, forse una sberla per svegliare, alla politica, e a tutti in generale, perchè tagli il deficit e contribuisca a trovare una via per uno sviluppo e una crescita sostenibile, svincolata dal contributo, in un certo senso finto, dei mercati. È ovvio che il compito non attende solo gli Stati Uniti, ma l’Europa e infine l’Italia.