Dopo le analisi sullo spread e le sue relazioni con gli inquilini di palazzo Chigi di circa 12 mesi fa, poi ampiamente smentite dall’andamento dei Btp nel 2012, ieri la nuova moda su moltissimi quotidiani italiani era la relazione tra le dichiarazioni di un particolare candidato Premier, Silvio Berlusconi, e gli indici azionari globali. In particolare, la promessa elettorale di restituzione dell’Imu e di condono tombale avrebbero fatto cambiare l’umore agli investitori fino a far crollare il mercato italiano del 4,5% in un solo giorno.

Fa niente se insieme all’indice italiano scendevano gli indici di mezzo mondo, se il mercato italiano era a venerdì il migliore d’Europa come performance e ai massimi da più di un anno e fa niente se da fine dicembre, complice momentanea soluzione del fiscal cliff e liquidità a tutto spiano, i mercati avevano messo a segno un rally che a tutti appariva molto difficilmente sostenibile, di certo a quei ritmi, e se uno storno era nell’aria già da diversi giorni. Tutti “dettagli” che “sporcano” la supposta relazione univoca tra le dichiarazioni di Berlusconi e l’andamento dell’indice italiano.

A proposito di relazioni tra fatti e “performance azionarie”, la vicenda Montepaschi non è che faccia benissimo a un indice così finanziario come quello italiano, perchè dall’altra parte delle Alpi o dell’Oceano a investitori poco abituati a districarsi nel sistema finanziario italiano, la domanda, giusta o sbagliata che sia, se in Italia esistano altre Montepaschi appare davvero inevitabile.

Il Financial Times di ieri metteva in prima pagina le 2000 nuove assunzioni di cui la Bce avrebbe bisogno e la discesa di un altro mercato azionario dei Piigs, quello spagnolo, con la foto di Mariano Rajoy; latitudine che vai relazione che trovi.

Sulla giornata di lunedì bisogna aggiungere almeno un paio di punti rispetto alla vulgata uscita sui giornali nostrani. Il primo è che il rally azionario di gennaio è avvenuto in un contesto di economia reale ancora estremamente difficile. In Italia, per esempio, i cali delle immatricolazioni auto e dei motoveicoli sono ancora ampiamente in doppia cifra rispetto a un 2012 già drammatico; in Germania il Pil nel quarto trimestre mostrerà con ogni probabilità un calo. È indubbiamente il risultato delle politiche di austerity, mentre oggi i mercati si interrogano su quale via per un nuovo sviluppo possa percorrere l’Europa tanto più se vittima di una guerra valutaria che ha spinto l’euro/dollaro a 1.36, levando all’economia dell’area euro una delle poche buone notizie del 2012 (l’euro debole).

Agli occhi dell’investitore globale la macroregione euro appare ancora densa di incognite e preoccupazioni, senza una strategia chiara e credibile per uscire dalla crisi, a parte la solita Germania che non ha problemi di debito e ha un’economia in grado di reggere molto meglio delle altre a un euro forte.

Il secondo punto è relativo al panorama politico italiano. Il tema è di particolare interesse per la dimensione che occupa l’economia italiana e il suo debito all’interno dell’area euro. L’impressione è che non siano tanto le proposte di restituzione dell’Imu o di condono a disturbare, quanto lo scenario che si sta delineando alla vigilia delle elezioni. Il panorama politico italiano appare molto complesso e la risalita nei sondaggi di Berlusconi rende oggi l’esito elettorale molto incerto e più probabile uno scenario, dopo le elezioni, in cui non ci sarà un vincitore e una maggioranza stabile.

Questa incertezza è già negativa in quanto tale per un mercato che ne può sopportare solo una quantità limitata; si pone poi il problema di quale maggioranza possa portare avanti le riforme necessarie per rilanciare l’economia in un contesto che dal punto di vista finanziario ed economico sarà ancora molto difficile. Berlusconi non ha mai goduto di particolari simpatie sui mercati e per la sua lunga militanza politica è inevitabilmente ritenuto responsabile della difficile situazione economica italiana, di Bersani si dubita della capacità di attuare riforme “liberali” anche per la contiguità a certi sindacati, mentre Monti è stato criticato per la subalternità alla Merkel e per la poca incisività sul piano delle riforme. Sono più o meno le parole con cui è stata descritta la politica italiana su Wall Street Journal e Financial Times nelle ultime settimane.

Mettere in relazione stretta queste preoccupazioni con le performance giornaliere dei mercati nazionali in questa fase dei mercati finanziari globali è molto rischioso. Si può però affermare che questa preoccupazione sia sempre stata presente anche quando il mercato chiudeva al +3% e che a un certo punto, forse finita la sbornia dei rialzi, si sia deciso di considerare gli elementi di criticità in Europa e in Italia. L’unico dato certo è che oggi le elezioni italiane sono un elemento di instabilità per i mercati; nel breve periodo a causa dell’incertezza dell’esito e della possibilità di una maggioranza non stabile, nel lungo periodo perché i mercati non si fidano della capacità di nessuno dei principali contendenti di rilanciare l’economia italiana.