Com’è apparso evidente in questi mesi, ci sono molti modi per osservare e guardare la crisi finanziaria globale e in particolare per giudicare la situazione economica italiana dell’ultimo anno e mezzo. Uno dei pochi che non convince per niente è quello di presentare l’evoluzione della situazione economica italiana e la percezione che i mercati hanno sull’Italia in un eterno “derby tra poveri” tra Italia e Spagna. Secondo questa lettura, presente per esempio ininterrotamente sul principale quotidiano economico italiano (Il Sole 24 Ore) da un anno e mezzo, l’Italia va male o l’allarme rosso si accende quando lo spread Btp-Bund peggiora rispetto al corrispettivo spagnolo. È un modo di affrontare la questione completamente avulso dalla realtà dei problemi a cominciare, paradossalmente, dalle differenze enormi tra la situazione economica italiana e spagnola che non si traducono, chissà perchè, in una differenza proporzionale di spread.

In un fase come l’attuale, avere un calo dello spread migliore o peggiore della Spagna può significare tutto e il contrario di tutto, sia perchè l’obiettivo sarebbe quello di tornare a crescere indipendentemente da quello che fanno gli altri (e se la Spagna fallisce un mese prima o dopo di noi sinceramente poco importa), sia perché mettere le cose in questi termini rende impossibile capire quello che sta accadendo.

Innanzitutto ormai dovrebbe essere chiaro che lo spread è funzione di tanti elementi, inclusi l’azione delle banche centrali e l’andamento delle economie e dei mercati internazionali, con legami inesistenti con quello che viene fatto o deciso in Italia. In secondo luogo, lo spread o il rendimento delle obbligazioni statali è uno dei tanti elementi di un sistema economico e finanziario; la situazione economica attuale in Italia è decisamente peggiore di quella di 18 mesi fa quando lo spread stava a 550 e il fatto che allora fosse peggiore di quello spagnolo e oggi invece migliore sinceramente non è una grande consolazione o un grande “indicatore”.

Lo spread oggi è inferiore di 200 punti a quello di autunno 2011 a causa dell’azione e degli impegni dealla Bce: tutto il resto invece suona allarme rosso con un Pil in picchiata e un debito che in questo contesto non scenderà mai. In compenso chiudono imprese a centinaia che non riapriranno mai più, con gli ovvi effetti sull’occupazione, mentre non c’è nessun barlume né di un nuovo governo, né, tanto meno, si vedono all’orrizzonte programmi, proposte o riforme che possano contribuire a uscire dalla crisi.

Parlare di sfida Italia-Spagna in un contesto di questo genere (siamo davvero al sesso degli angeli) dà quasi l’impressione di non voler affrontare i problemi veri mettendo in prima pagina un argomento qualsiasi pur di evitare di toccare i temi spinosi che pure esistono. I temi sono quelli affrontati da Fitch nel downgrade di venerdì scorso, oppure quelli che facevano capolino martedì nella lex column del Financial Times a proposito dell’urgenza, data la gravità della situazione, che l’Italia si dia un governo. Anche perché le prime pagine le occupa Beppe Grillo che fa risuonare sui mercati frasi come: “Italia di fatto fuori dall’euro”. Detto dal primo che passa è un conto, detto dal capo di un partito che ha preso il 25% fa un certo, devastante, effetto (e infatti la dichiarazione è stata ripresa dalle testate internazionali lette religiosamente da chi ha prestato e deve prestare i soldi all’Italia).

Rimane l’impressione fortissima di una certa incoscienza e sensazione di tranquillità che dà lo spread a 300, mentre la situazione imporrebbe tutt’altro spirito e sentimento. È lecito continuare a preoccuparsi finchè il tono della discussione e del dibattito in corso non cambieranno radicalmente. È davvero difficile intravedere una soluzione finché i termini del problema rimangono così confusi e poco chiari.

I mercati, poi, come ampiamente dimostrato e dimostrabile, si possono anche sbagliare; con 50 punti di spread in più e mezzo punto in più di Pil all’orizzonte dopo qualche riforma sensata ci sentiremmo più tranquilli. Pazienza se i mercati ci mettono qualche mese ad accorgersene.