Già anticipata nel corso della giornata, ieri sera, poco dopo la chiusura del mercato, è stata pubblicata la dichiarazione del Fondo monetario internazionale al termine della missione in Italia per valutare la stabilità finanziaria del Paese. La dichiarazione si apre con questa frase: “Il sistema finanziario italiano ha mostrato una notevole resistenza nei confronti dei una severa e prolungata recessione domestica e a una seria crisi in Europa”. Rispetto ai report con cui solitamente le agenzie di rating o le principali banche d’affari giudicano lo stato delle finanze e dell’economia italiane si nota senza troppe difficoltà una diversità, in positivo, dei toni. Il Fmi continua dicendo che in Italia, a differenza di altri paesi, un’adeguata patrimonializzazione è stata raggiunta con un limitato supporto statale.

Non solo, le note positive continuano con l’affermazione che gli stress test preliminari suggeriscono che il sistema bancario italiano nel suo complesso dovrebbe essere in grado di resistere sia a uno scenario di “schock concentrati”, sia a uno di bassa crescita prolungata grazie alla “forte posizione di capitale delle banche e al supporto della liquidità dalla Bce”. La nota precisa che il sistema finanziario italiano non è immune da pericoli e che la continua debolezza dell’economia reale e il collegamento tra settore finanziario e debito statale rimangono i rischi chiave.

Il Fmi non manca di dare la propria ricetta: “Ristabilire la crescita economica attraverso la ricerca della stabilità macro-economica, finanze pubbliche prudenti e riforme strutturali in favore della crescita rimangono le principali precondizioni per la stabilità finanziaria”. L’affermazione purchè semplice e perfino “intuitiva” sottolinea che nessuna “ingegneria finanziara”, nuova regola contabile o nuova governance è tanto efficace per la salute del sistema bancario quanto uno scenario economico più favorevole di quello attuale.

L’urgenza per l’Italia, anche agli occhi delle voci più “amiche”, è sempre di più un processo di riforme che rilanci la crescita mantenendo quelle che il Fondo chiama “finanze pubbliche prudenti”. Se la via dell’aumento della spesa pubblica (da non confondere con meno austerity) non è percorribile in questa fase, per i timori che il mercato inevitabilmente nutre sul livello del nostro debito pubblico, rimane quella delle riforme e del controllo dei costi.

L’altra sorpresa contenuta nel comunicato, soprattutto dopo il caso Mps, è quello relativa alle fondazioni bancarie che, secondo il Fmi, hanno “giocato un ruolo importante come investitori stabili di lungo periodo”. Il fatto che la nota prosegua elencando i miglioramenti alla corporate governance e alla maggior trasparenza per le fondazioni, oltre a una crescente diversificazione del portafoglio, non pregiudica il giudizio positivo delle fondazioni, tanto più se buona parte di un sistema bancario in grado di reggere alla crisi le vede protagoniste.

Dopo la lettura della dichiarazione ci sono almeno tre spunti che meritano di essere sottolineati. Il primo è che il Fondo monetario internazionale è, in questa fase, “alleato” dell’Italia o meglio nemico delle politiche di austerity e della linea economico-finanziaria finora seguite dai tedeschi, con in diversi casi la complicità di altri partner europei, Francia su tutti. Il Fmi qualche mese fa pubblicava un report sugli effetti sottostimati negativi delle politiche di austerity sulla crescita; oggi, da “amico”, ricorda l’urgenza delle riforme.

Il secondo spunto è che il sistema bancario italiano dall’inizio della crisi ha dimostrato una capacità di tenuta eccezionale, tanto più in presenza di una drammatica crisi economica. Dal fallimento di Northern Rock in poi le critiche di arretratezza e inadeguatezza che i “mercati” rivolgevano al sistema bancario italiano sono scomparse e le lezioni di superiorità sono finite e non si tratta solo del confronto, impietoso, con il sistema bancario spagnolo.

L’ultima nota è che ancora oggi il sistema bancario italiano vede la presenza massiccia di istituzioni che non rientrano negli schemi del sistema finanziario internazionale che i mercati di solito apprezzano. È il caso sia delle fondazioni bancarie che delle banche popolari; non sempre chi decide di “migliorare” le banche italiane trasformando il sistema verso schemi più “moderni” fa l’interesse della stabilità finanziaria o dell’economia reale (molto più spesso invece si fanno gli interessi di assai specifici investitori e del loro profitto).