Dopo l’effetto Monti propinato per mesi e mesi è arrivato, in esclusiva per i lettori italiani, l’effetto Napolitano; non sarebbe altro che l’impatto che la rielezione del Presidente della Repubblica avrebbe avuto sulle “borse” e sui “mercati finanziari” e avrebbe la forma – che novità – di un calo dello spread. In pratica, i mercati rassicurati dalle ultime pieghe che sembra aver preso la politica italiana avrebbero deciso di premiare i bond nostrani comprandoli, spingendo al rialzo i prezzi e al ribasso rendimenti e spread.

Ci ha pensato ancora una volta il Financial Times a scrivere come stanno le cose; la gazzetta della city e dei mercati ormai non si preoccupa neanche più di “incartare” la propria versione dei fatti, ritenendola talmente assodata e palese e un dato di fatto così evidente per il lettore da poter essere presentata anche in modo brutale. Così in un’edizione comprensibilmente piena di articoli sulle recenti vicende politiche nostrane, la lex column dedicata all’Italia, dopo aver fatto riferimento ai “fondamentali economici in deterioramento”, agli “eventi politici scoraggianti” e ai “politici esitanti”, conclude il proprio pensiero sull’Italia così: “Perché preoccuparsi? Grazie alla liquidità delle banche centrali gli investitori possono guardare dall’altra parte”.

Basterebbe d’altronde dare un’occhiata allo spread Bonos/Bund (ieri sceso di circa 25 punti contro i 15 italiani) o ai rendimenti sotto l’inflazione dei Treasury americani piuttosto che del Bund per capire che qualcosa non quadra in certe letture che, nonostante mesi e mesi di evidenze contrarie, ancora oggi vengono incredibilmente propinate. Certo, una migliore situazione politica in Italia è apprezzata e “pagata” dagli investitori, ma il quadro generale dei problemi non cambia né per un nuovo presidente della Repubblica, né per un nuovo capo del Governo (tanto più se non è stato ancora approvato un singolo provvedimento).

Gli investitori aprono Bloomberg e guardano con due click i dati drammatici che consegna l’economia italiana: aumento dei disoccupati, cali del Pil, deficit superiori alle previsioni e via discorrendo; dubitiamo fortemente che nelle sale operative internazionali si svolgano dibattiti sulle correnti dei partiti italiani o sulla riforma elettorale. Se ci sarà un governo in grado di sganciare i destini economici italiani da quelli internazionali, in positivo e negativo, oggi è una domanda da un milione di dollari anche per il più fine conoscitore della politica italiana, figuriamoci per un investitore seduto in un desk di Londra, New York o Francoforte.

Al momento la situazione dei bond italiani è dipendente solo dalle decisioni delle banche centrali o da riprese economiche che al momento, in un’Italia massacrata da crisi economica, restringimento del credito e politiche di austerity, e senza uno straccio di riforma possono arrivare solo da un miglioramento dell’economia internazionale. Questa è la realtà dei fatti nonostante qualsiasi titolo di qualsiasi giornale sull’effetto Napolitano. Ma la domanda che si pone il Financial Times, “perchè preoccuparsi?”, è una provocazione da cui è impossibile non farsi interrogare.

È vero che oggi, in un certo senso, non c’è ragione di preoccuparsi perchè la Fed prima, la banca centrale del Giappone poi e magari tra un po’ anche la Bce hanno messo sul mercato talmente tanta liquidità da far sembrare interessante il 4% di rendimento del Btp italiano oggi, dopo un anno di recessione e l’economia a pezzi, quando poco più di dodici mesi fa non lo voleva nessuno con un rendimento superiore al 6%. Ma è altrettanto vero e nella “City” è ugualmente chiaro che il mercato delle obbligazioni è in “bolla”, è in una situazione anomala non ripetibile e destinata a cambiare per riportarsi su vie più normali. In una situazione normale nessuno si comprerebbe il Bund ai prezzi di oggi e i rendimenti per invogliare gli investitori dovrebbero essere più alti, figuriamoci il bond di un’economia in recessione col debito sul Pil abbondantemente superiore al 100%.

Questo non è un consiglio per gli acquisti (in questo caso vendite) perchè la corsa al Btp, stante la situazione di cui sopra, potrebbe continuare ancora. Perfino il leggendario Bill Gross, gestore di Pimco e del fondo “Pimco Total Return” da quasi 300 miliardi di dollari, a fine dicembre sosteneva che “certamente c’è una bolla”, ma si guardava bene dall’indicare un orizzonte temporale per la sua fine, limitandosi a sconsigliare l’acquisto di obbligazioni a lunga scadenza (proprio quelle sui cui la bolla è più evidente). La bolla, come sempre, prima o poi scoppierà o, speriamo, si sgonfierà, ma dire che finirà è tutta un’altra cosa rispetto a dire quando e come.

Prima o poi quindi questa situazione finanziaria che rende gli investitori completamente anestetizzati ai problemi economico-finanziari italiani finirà e in quel caso se i fondamentali economici italiani saranno questi non ci saranno Napolitano o Monti che tengano. La conseguenza piuttosto ovvia del fatto che nessuno sappia quanto possa durare questa situazione favorevole per l’Italia non dovrebbe essere un senso di rilassetezza e calma, ma, all’opposto, un senso di maggiore premura che, però, come dimostrano i titoli sull’effetto Napolitano, oggi a malapena si intravede.

Nel frattempo avanti tutta con l’effetto Napolitano che però, per coerenza, dovrebbe essere esteso, nei suoi effetti, ai Bonos e poi ai paesi periferici e poi a tutto il mercato mondiale delle obbligazioni: praticamente il patrono mondiale dei mercati finanziari.