Le aspettative dei “mercati” sul nuovo governo italiano sono abbastanza chiare. In una fase così complicata, volatile e difficile da leggere, a tutte le latitudini, non si spera in nuovi “miracoli” economici o in incrementi del Pil sensibilmente superiori a quelli del resto d’Europa; il rilancio dell’economia italiana nel breve periodo o l’introduzione di riforme strutturali che riescano a portare miglioramenti stabili dell’economia italiana nel medio-lungo sono certamenti possibili, anche se per niente facili, ma non è questo il mercato disposto a prendere in considerazione e a scontare questi scenari. Le variabili economiche internazionali in gioco sono così numerose e complesse e il cambio di rotta del governo italiano così poco prevedibile che nessuno può includere nelle proprie stime certi cambiamenti.
Ieri lo spread Btp-Bund si è ridotto di circa 3 punti, il giorno prima di 15 punti, sostanzialmente in linea con quanto si è visto sul corrispondente indicatore spagnolo. È chiaro da diversi mesi che i movimenti dei titoli statali italiani sono legati molto più al contesto generale dei mercati e all’azione delle banche centrali, europea e non, rispetto alle vicende interne. Le vicende italiane continuano però a essere oggetto di attenzione ravvicinata dato lo status di terza economia e primo debito dell’area euro.
In questo senso i mercati hanno le proprie aspettative sul nuovo governo. La speranza dei mercati è che il nuovo governo riesca a svincolarsi dalle politiche di austerity che hanno impresso all’economia una crisi molto peggiore di qualsiasi stima e molto più grave di quanto si sarebbe verificato se a un’economia già in sofferenza non fosse stata imposta l’austerity con i suoi effetti materiali e psicologici.
Da molti mesi la storiografia finanziaria ha riletto le vicende europee arrivando alla conclusione che l’austerity imposta dalla Germania al resto d’Europa non sia stata, per usare un eufemismo, una buona soluzione per uscire dalla crisi. Questa lettura ha una serie di implicazioni; una in particolare riguarda da vicino la politica italiana. Il governo Monti, agli occhi dei mercati, ha fallito non solo per le mancate riforme, ma anche per non aver saputo opporsi alle linee guida tedesche in materia di austerity. Prima ancora di qualsiasi riforma, proposta e disegno di legge c’è la necessità di riguadagnare spazio di manovra dando un minimo di respiro a un’economia in recessione profonda.
Così si spiega il richiamo in prima pagina del Financial Times con la foto di Letta sotto il titolo “accento sulla crescita”, i sottotitoli inequivocabili come “crisi di legittimità per l’austerity europea” fino all’articolo interno sul tema “l’Italia guiderà la rivolta dell’eurozona contro l’austerity”.
Non emergono grandi dubbi su quali siano le aspettative dei mercati e sul fatto che la prima partita non sia “nel campionato italiano” ma direttamente in Europa. Un altro giro di austerity aprirebbe probabilmente scenari sconosciuti sia per l’Italia che per tutta l’eurozona e la sua moneta. Non sono casuali le parole del neo primo ministro italiano, ieri, al primo incontro con il cancelliere tedesco: “L’Europa deve mettere in atto politiche per la crescita”. La priorità, fortunatamente, è chiara a Letta.
Poi ci sono i compiti a casa per rilanciare l’economia. Riguadagnare uno spazio di manovra non può tradursi nel finanziare lo sviluppo senza curarsi di debito e deficit. Il compito difficile al limite del possibile di questo governo (sempre ammesso che passi lo scoglio dell’Imu) è riuscire a fare le riforme, rilanciare lo sviluppo senza far preoccupare troppo i mercati per un’economia che ha comunque un debito molto alto e che entra nel secondo anno consecutivo di recessione. Passare dai proclami per lo spread che scende ai tg con le facce sconvolte dei trader per una Caporetto sui mercati in questa fase non è un evento impossibile; in un evento di questo tipo il debito italiano sarebbe sotto pressione molto di più di quello francese o tedesco.
Qualsiasi vittoria contro l’austerity, per quanto necessaria, sarebbe inutile nel lungo periodo senza rilanciare l’economia e senza convincere i mercati che l’Italia è in grado di sostenere e poi ridurre il debito. Questo sarebbe vero in qualsiasi contesto, ma in quello attuale ancora di più, sia perché prima o poi, si spera più poi che prima, i tassi risaliranno, sia perché gli shock finanziari sono impossibili da escludere. Avere il mercato dalla propria parte è un grande aiuto per il Governo per la partita europea prima e per le riforme poi. Non è poco.