Il mercato azionario americano aggiorna nuovi massimi con continuità quasi noiosa; quello italiano nel suo piccolo ha messo insieme dal 4 aprile, quando la banca centrale del Giappone ha annunciato uno dei più grandi esperimenti di politica monetaria di sempre, un rialzo del 15% (secondo Bloomberg, dalla fatidica data terza performance dei mercati azionari dopo Grecia e, appunto Giappone). I dati economici in compenso restano orribili in Italia e in generale in buona parte d’Europa, mentre negli Stati Uniti non sono né negativi, né “esaltanti”. In questo scenario lunedì Goldman Sachs ha “chiamato” un’ulteriore crescita del mercato azionario americano, aggiornando al rialzo i propri target sull’indice S&P 500 destinato a salire ancora del 5% nel 2013, del 9% nel 2014 e del 10% nel 2015.
Finora, secondo Goldman, i venti che hanno spinto il mercato sono stati le politiche espansive della Fed, minori rischi politici relativi a una potenziale stretta fiscale (il superamento del mitico fiscal cliff) e dati economici, in particolare sull’occupazione, un po’ superiori alle attese. La scommessa della banca d’affari è che non ci saranno sorprese negative sul lato fiscale e che, soprattutto, gli investitori sono stati rassicurati sul fatto che la Fed continuerà con le politiche di stimolo (perchè la diminuzione della disoccupazione è derivata da un minor tasso di partecipazione piuttosto che da maggiori assunzioni). Il fatto che il mercato dei bond sia in bolla e i rendimenti delle obbligazioni ai minimi rende più attraente l’investimento in azioni.
A questo punto bisogna per forza sottolineare due aspetti della ricerca di Goldman per calare quanto scritto a proposito del mercato azionario d’oltreoceano nella realtà europea e in particolare italiana. Il primo è un elemento di “preoccupazione”, dato che tra i motivi per cui gli istituzionali (a cui si rivolge la ricerca) dovrebbero comprare c’è anche il fatto che il retail, noi che scriviamo e leggiamo queste brevi righe, non è, in media, ancora entrato sul mercato e questo dovrebbe garantire da qua in poi una spinta alla domanda di azioni; il retail, come al solito, entra tardi o più tardi. Il secondo è che la normalizzazione del mercato obbligazionario, con tassi più alti che farebbero “concorrenza” alle azioni, potrebbe essere ritardata per un esteso periodo di tempo a causa, dice Goldman, di “ingenti programmi espansivi nelle economie sviluppate e di una crescita lenta in Europa” (questo per inciso potrebbe aprire a scenari ancora più rosei per l’azionario americano).
È quello a cui, in un certo senso, stiamo assistendo in queste settimane con gli effetti delle politiche monetarie giapponesi manifestatisi in modo evidente sui mercati periferici, ma soprattutto è la scommessa che, a torto o a ragione, sta prendendo il mercato. La scomessa è che alla Fed prima, e alla Bank of Japan poi, si aggiungano nelle politiche espansive altre economie sviluppate; siccome non ne rimangono moltissime, bassa crescita in Europa più “gli ingenti programmi” di cui sopra potrebbero certificare che in Europa la musica sia definitivamente cambiata dopo i “miracoli” ottenuti nel 2012 con la terza economia dell’area euro (cioè, la nostra) massacrata oltre ogni qualsiasi aspettativa negativa a colpi di austerity (complice un governo già giudicato negativamente dalla storia), secondo un copione perfettamente opposto a quello seguito da Stati Uniti e Giappone.
I mercati azionari che evidentemente stanno sposando questo scenario festeggiano potendo contare su una gigantesca rete di protezione rappresentata da liquidità a buon mercato per tutti e da un occhio chiuso sulla diminuzione di deficit e stock di debito.
Quanto e per quanto tempo tutto questo sia sostenibile è una bella domanda perchè alla fine i conti si devono pagare sempre (ma il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto noi possiamo essere solventi) e l’ammontare di debito rimane lì dov’è. Perciò questo potenziale periodo di grazia che si sta e si potrebbe aprire anche per l’Italia – lo spread ieri stava a 250 (abbiamo visto i 500 e oltre meno di un anno fa) – e che nessuno sa quanto potrebbe durare, piuttosto che essere un gigantesco alibi per non affrontare i problemi strutturali del Paese (siamo sicuri, per esempio, che la riforma Fornero sia “buona”?) diventa un enorme incentivo a risolverli il prima possibile, nel migliore dei modi possibile.