Secondo gli ultimi “rumours”, per la verità un po’ troppo precisi e qualificati per essere classificati solamente come tali, nel cda di Telecom Italia programmato per oggi si affronterà il tema della fusione con H3g e dello spin-off con relativa quotazione della rete telecom. Dopo anni del tutto anonimi in borsa, non molto distanti da quelli vissuti dai competitor europei, e dopo il cambio di controllo in favore di Telco del 2007 sembra si stia arrivando a una nuova fase di discontinuità per l’ex monopolista italiano. Le ultime ipotesi però delineano uno scenario da svolta “epocale” per Telecom con un nuovo azionista forte, forse fortissimo, di controllo, i cinesi di H3G, e con una nuova società quotata, frutto di uno spin-off, detenuta da Telecom Italia stessa, dal mercato e con una partecipazione rilevante della Cassa depositi e prestiti a garanzia dell’italianità e a tutela degli interessi italiani su un asset strategico come la rete.



Le discussioni con H3G e con la Cassa depositi e prestiti sono comprensibilmente al centro di speculazioni di ogni genere, giornalistiche e finanziarie. Il tema suscita interesse per la moltitudine di piccoli azionisti che ha investito in Telecom Italia, con in genere pessime fortune, per la dimensione di un’operazione di finanza straordinaria dell’ordine di miliardi di euro, di capitalizzazione e di debito, e infine per le pingui commissioni che le fortunate banche d’affari chiamate ad assistere i protagonisti potrebbero incassare. Il cocktail ha tutti gli ingredienti per suscitare gli appetiti del mercato: c’è il cambio di controllo, di cui però i piccoli azionisti non beneficerebbero visto che si sarebbe ben sotto le soglie per un’Opa, c’è una fusione con la potenziale creazione di valore derivante dalle sinergie, c’è la quotazione di una nuova società in una fase di mercati iperliquidi, c’è ancora l’eliminazione del mitico “holding discount” (Telecom oggi è sia la rete che i servizi) conditi da mesi di rumours su cui, come è noto, si compra.



Quanto tutto questo si possa tradurre in creazione di valore è la classica domanda da un milione di dollari, perchè al momento i termini dell’operazione sono ancora fumosi ma il “il mercato” potrebbe apprezzare questa operazione fatta da un management che, dopo anni di risultati poco brillanti, darebbe uno scatto di creatività, una “svolta” a una storia azionaria altrimenti noiosa e ben poco soddisfacente. Nel dibattito su Telecom Italia-H3G-spin off della rete sembra esserci un grande assente. Il grande assente è la domanda sugli effetti industriali e di medio-lungo periodo che avrebbe l’operazione di cui sopra. Telecom Italia diventerebbe una società di servizi che controlla, probabilmente nel lungo periodo con una quota non di maggioranza assoluta, una società che possiede la rete e che è regolata dallo Stato (come Terna e Snam), che fissa tariffe e investimenti.



La teoria finanziaria dice che società con alta visibilità su ricavi e margini, come sarebbe appunto in teoria la rete, può sostenere un alto livello di indebitamento. Tra i motori dell’operazione c’è infatti l’esigenza di Telecom di diminuire il proprio debito secondo un trend comune a tutto il settore (l’olandese Kpn sta in questi giorni finalizzando un aumento di capitale da tre miliardi di euro). Telecom Italia lascerebbe in dote alla nuova società della rete una quantità di debito più che proporzionale perchè i ricavi e i margini di quest’ultima sarebbero di, mettiamola così, qualità superiore.

Alla fine del processo, secondo quanto si legge sulla stampa, ci sarebbe una società di servizi senza il suo vantaggio competitivo principale, il possesso di un bene strategico e non replicabile come la rete, e una società regolata dallo Stato soggetta alla volontà dello Stato e delle authority. A differenza di Terna e Snam, però, l’investimento in infrastrutture telecom è decisamente più aleatorio e dai ritorni più incerti perchè il settore è attraversato da innovazioni e trasformazioni tecnologiche che rendono l’attività molto più incerta e imperscrutabile. La storia del settore telecom negli ultimi anni è quella di un settore difficilissimo da interpretare con le società costrette a investimenti comunque ingenti per rimanere sul mercato e tariffe e costi in calo per gli utenti (basti pensare all’effetto degli smartphone sui costi per i messaggi).

La storia borsistica di Chorus, spin off della rete di Telecom New Zealand, potrebbe far sorgere qualche domanda sui futuri rosei che vengono dipinti. Se i benefici finanziari dell’operazione almeno nel breve potrebbero anche promettere bene, quelli industriali destano almeno qualche perplessità. Che valore “industriale”, ancora prima che finanziario, avrebbe una società di servizi con un controllo molto meno effettivo sulla società-rete pesantemente soggetta al regolamento delle authority, in quanto monopolio, in un mercato competitivo dove la concorrenza sembra giocarsi sul prezzo? 

Cosa resterebbe di Telecom Italia senza la rete, perchè quotata sul mercato, con un proprio management un proprio cda, regolata dallo Stato, come inevitabile, e con la Cdp come azionista? E che ruolo giocherebbe una società di infrastruttura “solo italiana”? La risposta è molto meno scontata di quelle che si fanno sui fogli excel quando si calcolano le sinergie e la creazione di valore finanziaria. Lo Stato italiano “salverebbe la rete”. Questo sì. Ma l’avventura industriale di Telecom Italia, l’ex monopolista italiano, con importanti partecipazioni all’estero, avrebbe un finale davvero diverso rispetto, per esempio, a Telefonica, Deutsche Telekom, France Telecom. ecc.