Oggi il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, terrà una attesissima conferenza stampa a conclusione di due giorni di meeting della banca centrale americana. L’attenzione dei mercati è comprensibilmente massima dopo mesi in cui l’azione delle banche centrali, e della Fed in primis, ha determinato le sorti dei mercati azionari e obbligazionari. Dieci giorni fa i timori che la Fed potesse decidere di diminuire la liquidità immessa avevano determinato un evidente nervosismo tra gli investitori, propagato fino ai confini dei mercati globali con un balzo dello spread Btp-Bund che seguiva il rialzo dei rendimenti obbligazionari globali; al di qua delle Alpi, per la cronaca, il rialzo dello spread era stato messo in relazione con le attività della Corte costituzionale tedesca pure, nel caso specifico, completamente incolpevole in attesa di un eventuale giudizio negativo sull’Omt della Bce.



L’azione delle banche centrali, di Fed e Banca centrale del Giappone, sono state determinanti per tenere bassi i costi di finanziamento e alti i mercati, contribuendo a ridimensionare le preoccupazioni degli investitori in una fase ancora ricca di incognite ed elementi di criticità; la ripresa americana è contenuta e fragile, i mercati emergenti rallentano e buona parte dell’Europa, tra cui la sua terza economia con il suo debito pubblico “monstre”, è in piena recessione e ancora non vede la luce in fondo al tunnel. I problemi economici e finanziari che hanno, per esempio, spedito lo spread a 500 sono ancora tutti lì con la differenza, per niente banale, dell’azione delle banche centrali.



In questo scenario arriva la conferenza odierna di Bernanke. I mercati come al solito anticipano prendendo una scommessa; la performance degli ultimi giorni testimonia un certo ottimismo. Giuste o sbagliate che siano, le attese dei mercati indicano che un rallentamento del Qe3 della Fed, che dovrebbe essere annunciato domani, non costituisca un cambio di strategia, ma sia solo un aggiustamento a fronte di un miglioramento, per quanto ancora fragile, dell’economia americana; in altre parole, se la ripresa per qualsiasi motivo dovesse indebolirsi la Fed riaprirebbe i rubinetti come prima. Ulteriori restringimenti delle politiche espansive sarebbero successivi solo a ulteriori e duraturi miglioramenti dell’economia americana, mentre di rialzo dei tassi ufficiali non si dovrebbe vedere ancora l’ombra; l’inflazione ancora contenuta supporterebbe questa decisione.



Bernanke avrà comunque un compito difficilissimo e dovrà saper comunicare correttamente il proprio messaggio tenendo in considerazione lo stato di nervosismo dei mercati; un accento troppo marcato sull’avvio di politiche meno espansive li spedirebbe in fibrillazione con effetti negativi su un’economia ancora anemica.

Parlare però della Fed non può esimere da una riflessione sulle altre due protagoniste dei mercati. La banca centrale del Giappone è stata ripresa ieri da Goldman Sachs per non aver saputo tener fede ai propri impegni sui mercati permettendo che i rendimenti delle obbligazioni statali giapponesi salissero facendo scendere i prezzi e determinando il calo violento del mercato azionario. La credibilità sui mercati finanziari è fondamentale e alle dichiarazioni e agli impegni devono seguire azioni coerenti. Se i mercati concludono che, nel caso specifico, la banca centrale del Giappone non è affidabile e non è “compratore di ultima istanza”, allora non c’è più niente che tenga e gli “animal spirits” dei mercati si comporteranno come da copione vendendo a man bassa, massacrando le obbligazioni giapponesi con conseguenze potenzialmente devastanti.

Fatta questa lunghissima premessa si può arrivare all’altro piatto forte di giornata. Draghi ieri ha rinnovato il proprio impegno a fare “qualsiasi cosa serva” per salvare l’euro, aggiungendo che la Bce è pronta a mettere in atto ulteriori misure, standard e non standard, se le circostanze lo richiederanno. Gli impegni dei governatori, in questo caso di Draghi, vengono presi molto sul serio; l’autunno scorso impegni molto simili a questi hanno determinato una compressione degli spread all’interno dell’area euro facendo diminuire il livello di guardia dei mercati. Ma l’Omt è circondato da un alone di mistero e nessuno ha mai visto alcun documento su come dovrebbe operare.

All’interno dell’area euro le condizioni economiche e finanziarie dei diversi paesi membri sono agli antipodi, con la Grecia declassata a Paese in via di sviluppo e la Germania che vanta l’economia più in salute del globo. L’Italia è in piena recessione, le imprese industriali chiudono per non riaprire più e il sistema bancario, alle prese con i propri problemi di bilancio, non concede credito come sarebbe richiesto in questa fase. Non sembra una situazione che può durare all’infinito e sinceramente allo stato attuale la riprese economiche sembrano troppo lontane e troppo deboli per cambiare in meglio la situazione.

I mercati potrebbe anche decidere di “testare” gli impegni della Bce e vedere cosa ci sia dietro agli impegni e ai comunicati stampa in un contesto in cui, tanto per fare un esempio a caso, l’Italia chiuderà un altro anno con Pil negativo, uguali o maggiori tasse, un tessuto industriale ammazzato da pressione fiscale, mancanza di credito, una legislazione sul lavoro ancora più ingessata e debito in aumento.

Ieri il Wall Street Journal.com commentava così le parole di Draghi: “La Bce sembra sempre di più combattere una guerra solo con le parole”, perché come da titolo dell’articolo “parlare costa poco”. La contraddizione è evidente a tutti e finisce senza troppe mediazioni sui quotidiani finanziari globali. Gli investitori, soprattutto quelli che non vogliono il male dell’Italia, si interrogano: o l’Europa fa sul serio contro la crisi oppure lo scenario non può che essere catastrofico perché prima o poi non si potrà più nascondere la polvere dell’economia sotto il tappeto delle promesse e degli impegni e di qualche aspirina di politica monetaria.

Prima dello scenario catastrofico c’è l’alternativa che nessuno dice in cui ognuno va per conto suo perché l’Italia non ce la può fare con questa, attuale, politica monetaria senza credito, tasse insensatamente alte e il marco tedesco come valuta (l’euro forte di questi giorni è già di per sé tutto un programma). Sembra un’esagerazione, ma le cose stanno, più o meno, in questi termini.

 

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