Secondo Paul Krugman l’annuncio della Fed di settimana scorsa di rallentamento delle politiche espansive potrebbe essere visto in futuro come “un errore storico”. L’economia americana, scrive Krugman sul New York Times, è ancora fragile soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro. La Fed, argomenta l’economista, dovrebbe aspettare a restringere la politica monetaria, lasciare che l’economia recuperi e che l’inflazione salga prima di aumentare i tassi: deve in sostanza “promettere con credibilità di essere irresponsabile”; se l’economia rallentasse e l’inflazione scendesse la Fed non sarebbe più in grado di mandare un messaggio credibile per dire che in realtà non è “convenzionale” nelle sue politiche monetarie. Conclude Krugman: se l’economia americana non migliora la banca centrale ha fatto un danno maggiore di quanto creda.

Queste poche righe rendono molto bene l’idea di quale sia stato l’impatto sui mercati delle parole di Bernanke di settimana scorsa. Ieri pomeriggio, in successione, hanno battuto le attese i dati sulla fiducia dei consumatori, quelli sugli ordini industriali e infine quelli sull’andamento dei prezzi immobiliari negli Stati Uniti, eppure i mercati azionari hanno reagito senza troppa convinzione. I mercati oggi “si aspettano” la ripresa americana, la scontano perchè sulle sue prospettive Bernanke ha deciso di anticipare ai mercati la fine del quantitative easing.

Eppure rimangono, evidenti a tutti, numerosi fattori di criticità. Ieri, per esempio, è salito ai massimi degli ultimi 18 mesi il cds a 5 anni sul debito statale cinese e senza entrare nei dettagli si possono citare il rallentamento delle economie dei paesi emergenti, le drammatiche difficoltà economiche e finanziarie dei paesi periferici europei, oltre alla già citata debolezza della ripresa americana.

Nonostante la Fed non abbia deciso di terminare il quantitative easing nel breve periodo, in questo momento i mercati finanziari hanno nella, fragile e preliminare, ripresa americana uno dei pochi, e forse il principale, appigli rimasti. L’impressione è che sia decisamente troppo poco a fronte degli squilibri in atto, soprattutto perchè la sua stessa esistenza è minacciata da un contesto economico internazionale che rimane sfavorevole. Le performance positive dei mercati azionari di ieri e lunedì stridono con i cali del mercato obbligazionario, di solito molto più affidabile nel riflettere l’umore di mercati e investitori.

Rimangono aperti almeno due temi. Il primo riguarda la credibilità della Fed sui mercati; in sostanza non è chiaro se i mercati tornerebbero a fidarsi se, in presenza di peggioramenti dell’economia, la Fed ritornasse ad assicurare liquidità in abbondanza per tutti fino a che fosse necessario. Il secondo riguarda la Banca centrale europea. Ieri Draghi ha dichiarato che le condizioni economiche richiedono la continuazione di una politica monetaria accomodante e che l’Omt è oggi ancora più essenziale.

Le dichiarazioni sono certamente positive, ma finora la Bce non ha avuto la reale necessità di intervenire veramente e massicciamente sui mercati per scongiurare una nuova crisi dei debiti sovrani. Due mesi fa è stata la banca centrale giapponese a rimandare il problema, ma oggi tra una nuova crisi dei debiti sovrani europei e le sue conseguenze più funeste è rimasta probabilmente solo l’istituzione europea. Se la ripresa arriverà abbastanza forte e abbastanza celermente non ci sarà bisogno di scoprire se la Bce ha in mano un poker d’assi o una coppia di due; le condizioni dell’economia reale però rimangono drammatiche e si assiste a un peggioramento che non sembra avere fine mentre i problemi sembrano sempre più insormontabili. Qualunque schema economico-finanziario-monetario sia in atto non sembra né sufficiente, né funzionale soprattutto per i paesi periferici e per l’Italia in cui è in atto un circolo vizioso che, nella situazione e nello schema attuale, non si riesce a spezzare.

L’unica cosa certa è che la situazione attuale non può continuare indefinitamente, perchè non è sostenibile nel medio-lungo periodo. O migliora perchè migliora, e in misura considerevole, l’economia oppure peggiora e si avvita come accaduto negli ultimi 12/18 mesi fino al punto di rottura. Non è chiaro se l’attuale governo italiano (a differenza del precedente) sia consapevole della situazione e se, in caso affermativo, abbia le idee economiche e di riforme giuste (ma sinceramente non ci vuole una grande fantasia) e la forza per portarle avanti, in Italia e in sede europea. 

 

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