Lunedì mattina Exor, holding del gruppo Fiat, ha annunciato la cessione della quota detenuta in Sgs per un incasso di circa 2 miliardi di euro. Sgs, per la cronaca, è il gruppo svizzero attivo nel settore della certificazione da cui l’allora semi-sconosciuto ad Marchionne, almeno in Italia, veniva prelevato per diventare ceo di Fiat e dare vita a una storia industriale e societaria che non smette di suscitare sorprese; dalla risoluzione della controversia con General Motors, all’acquisizione di Chrysler, per arrivare allo spin-off di Fiat Industrial fino ai progetti futuri di fusione con Cnh, per Fiat industrial, e Chrysler per Fiat Auto.



L’importo della cessione non è di quelli che passano inosservati, i cambi di portafoglio nelle holding italiane non sono all’ordine del giorno, tanto più se si tratta di cedere un’attività posseduta da tanti anni, che ha dato risultati eccezionali e che si conosce benissimo come appunto nel caso di Sgs per Fiat. Inutile dire che la domanda che è rimbombata sui mercati riguarda che cosa farà ora Exor con 2 miliardi di euro di nuova cassa in una fase in cui gli interessi generati dalla liquidità sono tutto tranne che appetibili. Il comunicato stampa di rito di Exor non aiuta molto il lettore che cercasse qualche elemento utile alla comprensione e infatti si dice solo che “il ricavato sarà utilizzato per cogliere nuove opportunità”.



Come accade ormai da anni per le vicende del gruppo Fiat qualche idea interessante può arrivare andando a osservare cosa accade dall’altra parte dell’Oceano. Il tribunale del Delaware che deve decidere quale sarà il prezzo che Fiat dovrà pagare al Veba per arrivare al 100% di Chrysler darà il proprio verdetto, appellabile, tra qualche settimana. A quel punto Fiat saprà quanto dovrà spendere per ottenere il pieno controllo del terzo produttore di auto americano. Secondo il Financial Times, che si è occupato della cessione di Sgs e dei suoi risvolti nella Lex Column, le valutazioni del venditore, il Veba, e del compratore, Fiat, sono molto diverse. Per il venditore la quota vale 10 miliardi di dollari, per il compratore 5.



In entrambi i casi per Fiat l’investimento sarebbe notevole e quindi si prospetterebbe l’eventualità di aumento di capitale. Exor con la cessione di Sgs si è assicurata la cassa necessaria per fare la propria parte nell’eventuale aumento senza farsi diluire. Con questa mossa la finanziaria si è messa nelle condizioni di poter seguire un aumento di capitale di Fiat fino a circa 10 miliardi di euro.

Il quadro generale dentro cui si inserisce questa operazione riguarda la trasformazione di un gruppo “euro-italo-brasiliano” in una multinazionale globale dell’auto con una dimensione minima efficiente per competere con concorrenti agguerritissimi in qualsiasi condizione di mercato. Smarcarsi dai destini economici “sfidanti” dell’Europa e in particolare dell’Italia aumentando la presenza sul mercato nordamericano assume in questo contesto un’importanza fondamentale. Se, come pare, i soldi derivanti dalla cessione di Sgs finiranno via Exor in Fiat tramite l’aumento di capitale di quest’ultima, allora non ci sono molti dubbi sul fatto che nelle prospettive industriali e finanziarie del nuovo gruppo gli Agnelli ci credano e tanto.

Il raggiungimento del 100% di Chrysler con il maxi-esborso finale, nonostante sia il completamento di un lungo processo iniziato nel 2009, è però una tappa di un progetto che per forza di cose non può essere concluso. Il gap tra Fiat e i principali competitor in termini di numero di auto vendute, scala globale e modelli rimane ancora evidente. Manca una presenza importante in Asia, nel segmento premium il confronto con i produttori tedeschi è ancora improbo, così come, per esempio, nel segmento delle auto elettriche. Rimane sullo sfondo il ruolo dell’Italia in cui Fiat ha ancora una base produttiva importante e in cui impiega ancora migliaia di operai oltre agli investimenti in ricerca e sviluppo e design.

Il nuovo gruppo globale quotato a New York e, si spera, anche in Italia deciderà, e sta già decidendo, come allocare i propri investimenti e in quale parte del globo concentrare quali sforzi e in che misura; lo deciderà con l’obiettivo di essere competitivo. Impostare la partita in termini di “pretese” verso un gruppo “italiano” con debiti di riconoscenza sarebbe totalmente inefficace e perdente; si sarà di fronte a una multinazionale globale che ha ancora una presenza importante in Italia di cui deve decidere cosa fare, ma che non si deve dare per scontata. In altre parole, se Fiat “abbandona” l’Italia in termini di investimenti, risorse e stabilimenti è un problema per il nostro Paese, molto meno per Fiat/Chrysler.

 

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