Lunedì è stata annunciata l’acquisizione da parte di Telefonica delle attività nel mobile di Kpn in Germania per 8 miliardi di euro. L’acquisizione permetterà alla compagnia spagnola di unire le proprie attività nel Paese teutonico con quelle di Kpn, creando il primo operatore di telefonica mobile in Germania con una quota di mercato del 38%. Il prezzo pagato da Telefonica è stato pieno, ma l’azienda iberica ha motivato l’acquisizione indicando le chiare sinergie che si creeranno unendo due operatori piccoli del mercato in una sola società dalle dimensioni doppie. La notizia è stata, almeno per gli addetti ai lavori, assai rilevante; viene segnalata, infatti, non solo una rinnovata ondata di fusioni e acquisizioni nel settore telecom, ma anche una, e forse l’unica, possibile risposta alla crisi del settore.

Inutile dire che la vicenda getta una luce particolare sulle vicende di Telecom Italia. Per chi si fosse perso qualche puntata è meglio però fare un breve riassunto. Il grafico borsistico delle azioni delle società telecom europee e internazionali degli ultimi anni mostra, in media, una clamorosa distruzione di valore per gli azionisti. La pressione dei regolatori, la concorrenza spietata, le innovazioni tecnologiche e del mercato (skype, whatsapp, ecc.), unita a investimenti mai in discesa hanno falcidiato i ricavi e la generazione di cassa; la bolletta telefonica è calata per gli utenti probabilmente più di quasi qualsiasi altra voce di costo. Chi aveva l’infrastruttura, nel caso italiano Telecom Italia, è stato costretto a “obbedire” ad Antitrust e authority varie per garantire la concorrenza in quanto monopolista; chi non l’aveva e l’ha costruita in anni più recenti ha avuto un ritorno misero, se non negativo, a causa della pressione competitiva e della regolamentazione poco favorevole.

In questo scenario sono emersi vincitori e vinti. I primi hanno una dimensione globale, competono su più mercati compensando le crisi di uno o dell’altro e fanno, o tentano di fare, sinergie di ogni tipo: di costo, sugli investimenti e commerciali. In Europa tra i vincitori ci sono, per esempio, Telefonica e Vodafone. Questa parte della storia sembra però avviarsi alla conclusione. Il settore Telecom è stato a lungo addormentato, noioso per gli osservatori e gli investitori e le uniche notizie erano quelle relative a qualche dichiarazione di burocrati, commissari europei o responsabili di qualche authority oscura ai più.

Oggi la situazione sembra molto diversa. America Movil di Carlos Slim è entrata in Telekom Austria e poi nell’olandese Kpn, Vivendi ha messo in vendita alcune delle sue attività telecom; non sono però solo le società piccole o di medie dimensioni (Kpn capitalizza 8 miliardi di euro) a essere interessate e scosse da acquisizioni, divisioni e quant’altro. Vodafone potrebbe vendere il 45% di Verizon wireless (leader negli Stati Uniti) per più di 100 miliardi di dollari e a fine 2012; rumours sono comparsi sulla stampa di mezzo mondo riguardanti una possibile offerta congiunta di Verizon e At&t su tutta Vodafone. Nemmeno Telefonica, primo azionista singolo di Telecom Italia, è immune e a metà giugno i rumours sostenevano che At&t avesse approcciato il governo spagnolo per comprare il 29,9% della società e che avesse interesse per comprare parte dei suoi asset internazionali.

In questo scenario rientrano le vicende di Telecom Italia, che, geograficamente, si identifica sostanzialmente con due mercati, l’Italia e il Brasile. L’operazione di fusione tra Telecom e 3 non è andata a buon fine; gli azionisti sono scontenti del proprio, pessimo, investimento e l’unico che ha guadagnato qualcosa è Telefonica, che è riuscita a bloccare per anni un proprio temibile concorrente in America Latina monitorandolo da vicino affinché non aumentasse la propria pericolosità. Il problema è che l’attuale azionariato di Telecom Italia non mette la società neanche lontanamente al riparo da radicali cambiamenti. Nel contesto europeo e internazionale delle telecom in cui, complice liquidità abbondante, si muovono decine di miliardi di euro come se niente fosse, un eventuale intervento su Telecom Italia potrebbe perfino non essere finalizzato al mercato italiano, ma a quello brasiliano e pazienza se nel frattempo la società “Italia” ci va di mezzo.

La situazione economica italiana, al momento, è probabilmente un freno significativo, ma evidentemente questo non può essere ritenuto un elemento nel medio-lungo termine, perché tutto ha un prezzo. L’Italia difficilmente potrebbe contare sulla “moral suasion” del governo o della politica che non sembrano, al momento, l’arma migliore del Paese; anche perché Fiat prende sede in Olanda, tanti si vendono l’azienda (quelle buone, figuriamoci le cattive!) al primo che si presenta con la valigia piena di soldi e in generale non si respira un clima in cui potrebbero prevalere valutazioni di medio-lungo termine.

Una cosa però si potrebbe fare. Avrebbe molto senso finanziario, tariffe e ricavi certi per un operatore indipendente, e molto industriale, garantire al Paese il controllo di un asset strategico. Sarebbe lo spin-off della rete con una presenza qualificata dello Stato, in qualche forma, a garanzia degli investimenti. Con quello che si legge sui giornali e nei comunicati stampa in Europa sembra sia il caso di fare in fretta. 

 

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