Le ultime 48 ore dei mercati finanziari sono state movimentate dalle difficoltà di Grecia e Portogallo a rispettare i termini e il percorso di salvataggio e messa in sicurezza delle finanze pubbliche. La Grecia non ha rispettato la scadenza di giugno per mettere 12.500 lavoratori statali in schemi di mobilità che avrebbero preceduto o il trasferimento o la perdita del posto di lavoro; il rispetto della condizione era necessario per ricevere la prossima tranche di aiuti nell’ambito del piano di salvataggio della Troika. Ieri è stato il turno del Portogallo, vittima di un terremoto politico che ha portato alle dimissioni del ministro degli Esteri, Paulo Portas, precedute da quelle del Ministro delle Finanze, Vitor Gaspar. Le dimissioni potrebbero aprire una crisi di governo e mettere in forse il piano di salvataggio del Paese lusitano, che a settembre dovrà approvare la “finanziaria 2014”. Il ministro delle Finanze Gaspar, già tecnocrate europeo, si era dimesso all’inizio della settimana a causa di una caduta della domanda interna molto superiore e da entrate fiscali molto inferiori rispetto a quanto aveva stimato. Il rendimento dei bond portoghesi è schizzato riflettendo i timori del mercato.



Non occorre aggiungere molto altro per concludere che il fallimento delle politiche europee in merito alla crisi dei debiti sovrani e alla crescita di una larghissima parte della sua economia interna è palese ed evidente oltre qualsiasi ragionevole dubbio. Il circolo vizioso di austerity (minore crescita-minori entrate) non solo non è stato spezzato, ma viene continuamente rimandato, mentre all’orizzonte le stime non vanno oltre un’incerta, non immediata, debolissima crescita. Qui in Italia l’ottimismo di Saccomanni è stato prontamente smentito dal presidente di Confindustria Squinzi che tocca con mano la crisi che ha colpito le imprese italiane e, soprattutto, le poco rosee prospettive per l’autunno.



La crisi greca è scoppiata tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, ormai sono passati 3 anni e mezzo, e pochi ricordano che nella primavera del 2010 l’Italia contribuiva, terzo Paese europeo dietro Germania e Francia, al primo piano di salvataggio greco con 5,5 miliardi di euro, “giocandosi” il tesoretto accumulato, giustamente o meno non importa, con lo scudo fiscale. Il risultato di questo sforzo immane, di mesi e mesi di riunioni, meeting conditi da migliaia di articoli è che la Grecia viene declassata a Paese in via di sviluppo dopo essere precipitata in una recessione senza precedenti che, tra l’altro, ha determinato in Parlamento l’entrata di un partito filo-nazista.



La ricetta tedesca è stata applicata e sperimentata per dodici mesi anche in Italia con i brillanti risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Il panorama economico-finanziario in Europa è mutato, molto probabilmente per sempre, spostando gli equilibri verso la Germania e i suoi vicini, con le imprese italiane messe nelle condizioni di non poter neanche pensare di competere contro gli storici rivali tedeschi, devastate da tasse folli, frutto di un apparato burocratico statale costosissimo e inefficiente, e da un restringemento del credito e della domanda interna senza precedenti, oltre a tutto il resto (legge sul lavoro, richieste burocratiche asfissianti, ecc.). Ad aggravare questo scenario c’è il rallentamento dei Brics, Cina in testa, e un’anemica ripresa americana che di certo non può trainare nessuno.

L’Europa in sostanza deve risolversi, se vuole, i suoi problemi in casa e i singoli Stati non hanno appigli al di fuori, appunto, dell’Europa o in alternativa di se stessi. Quando il Wall Street Journaldefinisce la politica economica europea “magica” con malcelata ironia, mettendo il dito nella piaga degli annunci di intervento della Bce e del suo governatore con misteriosi documenti e piani di azione mentre il suo maggior contributore, la Germania, chiede alla propria Corte costituzionale di stabilirne l’eventuale liceità, risulta impossibile non concordare. Ieri l’edizione online del Financial Times definiva il Portogallo la nuova Grecia; il punto è che il titolo potrebbe trasfomarsi in “Italia, la nuova Grecia”. La ricchezza finanziaria e industriale gioca ancora a favore dell’Italia, ma il motore sta visibilmente perdendo colpi e potrebbe non reggere il peso del debito e delle abitudini da Paese sviluppato dei suoi abitanti.

Non è terrorismo psicologico o pessimismo, solo il realismo di constatare quanto accaduto negli ultimi tre anni alla Grecia e quanto vissuto in Italia negli ultimi 18 mesi; pensare di risolvere la situazione e tornare, più o meno a prima, con qualche riforma, senza dare troppo fastidio agli immodificabili diritti acquisiti e rendite, e un paio di mini-concessioni in sede europea, è pura utopia.

 

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