Nonostante il periodo “vacanziero”, sembra che gli scandali finanziari non vogliano abbandonarci: dal caso Mps fino alle vicende che ruotano intorno a Fondiaria Sai e alla vecchia proprietà della famiglia Ligresti. I commenti sulle due vicende hanno partorito immagini e definizioni che hanno colpito l’immaginario collettivo: dai furbetti del quartierino si è passati alla banda del 5% e poi a “papelli” e alle agende e documenti più o meno segreti. In questo scenario si leggono le riflessioni sull’anomalia tutta italiana che avrebbe generato questi due “mostri”, sulle pecche dei sistemi di controllo nostrani, sui soliti vizi di un’Italia arretrata e disonesta mentre appena fuori dalle Alpi certe cose “non sarebbero mai successe”. Questi giudizi sono in un certo senso inevitabili; d’altronde, sia la “vecchia” Mps che Fondiaria Sai erano inserite perfettamente all’interno del sistema finanziario italiano, nel “salotto buono”. Quindi, il teorema sembrerebbe inevitabile e la conclusione scontata: si tratta certamente di un prodotto “made in Italy” e la lettura che si deve dare è del tutto conseguente.
A questo punto è decisamente opportuno citare altri fatti che pure con il “made in Italy” hanno pochissimo a che fare e che gettano una luce molto diversa sulle vicende “italiane”. Charles Prince III diventa amministratore delegato di Citigroup nel 2001, si dimette il 4 novembre del 2007 a causa del crollo del settore dei mutui dove la banca ha accumulato una forte esposizione a quelli di più bassa qualità sotto forma di CDOs (vi ricordate i mitici Collateralized Debt Obligations?); durante la sua gestione la capitalizzazione del titolo diminuisce di 68 miliardi di dollari. Nel 2004 le autorità giapponesi sospendono le attività della banca per aver prestato soldi a clienti coinvolti nella manipolazione del mercato azionario. Nel 2007 la Nasd (autorità di controllo dei mercati) gli contesta una multa di più di 15 milioni di dollari per aver pubblicato documenti con informazioni fuorvianti e insufficienti durante seminari sui piani pensionistici.
Nel 2010 Citigroup paga 75 milioni di dollari di multa per aver dichiarato nel 2007 un’esposizione a mutui subprime di meno di 13 miliardi di dollari quando in realtà era superiore di più di tre volte (più di 50 miliardi di dollari). Nel febbraio 2012 Citigroup paga 158,3 milioni di dollari per aver certificato in modo falso la qualità dei prestiti concessi da CitiMortgage per un periodo di più di sei anni. Nel 2008, l’anno in cui la banca riceve 45 miliardi di dollari di aiuti pubblici, Fortune inserisce Charles Prince III nella lista degli otto leader economici che non hanno visto l’arrivo della crisi. Prince lascia Citigroup con un bonus di 12,5 milioni di dollari più 68 milioni in stock option, più 1,7 milioni di pensione, un ufficio e una macchina con autista fino a un massimo di 5 anni. Oggi, tra le altre cose, è ancora consulente di Citigroup.
Stanley O’Neal è amministratore delegato e presidente di Merrill Lynch nel 2003, si dimette nel novembre del 2007 quando la banca annuncia 8,4 miliardi di dollari di perdite a causa della crisi immobiliare. Nell’agosto del 2008, dopo le minacce del Procuratore generale di New York di fare causa alla banca per non aver rappresentato correttamente il rischio sulle “mortgage backed securities”, Merrill Lynch ricompra 12 miliardi di dollari di obbligazioni. Cnbc mette O’Neal nella lista dei peggiori amministratori delegati della storia degli Stati Uniti. Nel settembre 2008 Bloomberg calcola che la banca ha perso quasi 52 miliardi di dollari nella crisi dei subprime; nello stesso anno la banca paga 3,6 miliardi di bonus equivalenti a un terzo dei fondi pubblici ricevuti come aiuti. All’atto delle dimissioni, O’Neal ottiene un pacchetto di 161,5 milioni di dollari di compensi; a gennaio del 2008 entra nel cda di Alcoa.
Angelo Mozilo, presidente e amministratore delegato di Countrywide financial, si dimette a luglio del 2008. Tra agosto del 2007 e novembre del 2007 la società, che all’epoca aveva emesso circa il 17% di tutti i mutui negli Stati Uniti, perde in borsa più del 50% del proprio valore. A giugno del 2008, Bank of America compra Countrywide per 4 miliardi di dollari, un sesto del valore che la società aveva un anno prima. Nei due anni successivi, circa 7500 dipendenti perdono il posto di lavoro. A giugno del 2009 la Sec dichiara Mozilo colpevole di insider trading e manipolazione del mercato (oltre a un divieto perpetuo di ricoprire cariche di amministratore in ogni società quotata); tra le altre cose, prima dello scoppio della bolla Mozilo vende tutte le proprie stock option mentre sostiene il titolo facendo comprare alla società azioni sul mercato. Nel 2010 Mozilo raggiunge un accordo con la Sec che prevede una multa di 67,5 milioni di dollari, di cui 20 pagati da Countrywide, in cambio della rinuncia da parte della Sec stessa a ulteriori giudizi. Tra il 2001 e il 2006 Mozilo aveva guadagnato 470 milioni di dollari (dieci volte la multa pagata).
Si potrebbe dire molto di più, ma quanto scritto dovrebbe essere più che sufficiente per rendere l’idea. Gli scandali “italiani” sembrano davvero poca cosa nei confronti di quanto accaduto sui mercati globali. Non si tratta, ovviamente, di giustificare nessuno, ma solo di mettere le cose nella giusta prospettiva in cui l’Italia finisce molto indietro nella fila degli imputati. Altrimenti si può credere, per esempio, che la banda del 5% abbia messo in cattive acque Mps, mentre l’operazione di mercato internazionale su Antonvenuta approvata da authority, stampa nazionale e internazionale sia stata una svista di poca importanza. Le cronache di questi giorni rischiano davvero di far dimenticare la storia reale.
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