Il mercato italiano ieri è sceso ancora (-1,5%) dopo il tonfo di lunedì (-2,5%) e un venerdì “ferragostano” non propriamente brillante. La caccia al colpevole o ai colpevoli di turno si è formalmente aperta con, tra l’altro, la storia dei mercati degli ultimi mesi che offre un ampio ventaglio di possibili indiziati: è la Bundesbank che vuole aumentare i tassi (dice, per esempio, Il Messaggero di ieri); è il futuro incerto di Berlusconi che porta instabilità politica (la Repubblica sempre di ieri); sono le prese di beneficio (Il Sole 24 Ore) e così via con la possibilità di pescare tra spread, Bund, Btp, ecc. Confinare la risposta all’Europa o, peggio ancora, considerare tra le cause le vicende politiche italiane, pur non semplici, a diverse settimane dalla sentenza della Cassazione che non ha fermato neanche per sbaglio il rally del mercato azionario nostrano non sembra però la strada giusta. Il mercato obbligazionario e azionario americano invece sembrano dare qualche suggerimento utile.
Settimana scorsa il rendimento dei titoli statali americani a sette anni è salito del 30%, quello del decennale tra il 15 agosto e il 19 è passato dal 2,7% al 2,85%. Sempre il decennale americano è passato da un rendimento dell’1,6% a febbraio al 2,8% degli ultimi giorni, i massimi degli ultimi tre anni; in pratica, gli investitori hanno deciso di vendere in modo convinto i titoli di stato americani mentre le azioni non hanno fatto meglio con il mercato sceso del 3% in pochi giorni. Il mercato negli ultimi mesi è stato dominato dalle decisioni di politica monetaria delle banche centrali e in particolare della Fed. Lo spread italiano non si è ridotto per una ritrovata stabilità politica, per un governo che ha fatto le riforme giuste e di certo non per le performance economiche del Paese. Lo spread italiano si è mosso quando le banche centrali si sono mosse, dalla Bce alla Fed, passando persino per la banca centrale giapponese le cui politiche si sono sentite eccome sui mercati europei, in particolare quelli periferici. Questo scenario di liquidità a buon mercato per tutti è una costante da molti mesi e anni, è diventato un “dato” e un “presupposto” per l’operatività degli investitori e per i movimenti e le reazioni del mercato. La situazione economica tragica di molti paesi non ha portato a esiti finanziari disastrosi a causa di questa azione delle banche centrali.
Il caso italiano è un esempio lampante di questa tesi; la riduzione dello spread degli ultimi mesi è avvenuta mentre i dati economici passavano dal brutto all’orribile, mentre la situazione politica italiana, che in teoria dovrebbe influenzare i mercati, rimaneva quanto di più incerto e nebuloso ci fosse da molte settimane. Si parlava di rottura dell’euro, spread a 600 e default del debito italiano con dati economici e con un mercato del lavoro nettamente migliori di quelli attuali; chi cita “la luce in fondo al tunnel” che si potrebbe toccare nel quarto trimestre come ragione della riduzione dello spread sbaglia clamorosamente. Non sarà un miglioramento del Pil da prefisso telefonico, tutto da provare, dopo otto trimestri di recessione, con disoccupati record e debito pubblico in aumento a far ricredere gli investitori sulle prospettive economiche dell’Italia, soprattutto se si parla di elezioni un giorno si e l’altro pure; eppure lo spread è sceso nonostante le sentenze “sfavorevoli”, nonostante le elezioni tedesche, nonostante la crisi dei paesi emergenti.
Questo “contesto finanziario” di liquidità record ha anestetizzato i mercati “difficili” come quello italiano e dei paesi periferici e ha creato bolle in quelli meno difficili come quello americano con una bolla “secolare” sui bond e i mercati azionari ai massimi di sempre. La principale banca centrale del pianeta, la Fed, ha però annunciato una diminuzione dell’immissione di liquidità che dovrebbe partire a settembre; i dati economici che sono usciti nelle ultime settimane e mesi sono coerenti con questa decisione che verrà attuata a partire da questo autunno.
Il nervosisimo dei mercati, in bolla, di questi giorni è dovuto all’avvicinarsi di alcuni appuntamenti e scadenze chiave per la decisione della Fed di settembre. Oggi a mercati europei chiusi usciranno i verbali dell’ultima riunione della Fed, giovedì e venerdì è prevista la conferenza promossa dall Fed a Jackson Hole, a inizio settembre (il 6) usciranno i dati sul tasso di disoccupazione in america ad agosto, decisivi per capire se il trend di miglioramento debole dell’economia americana è ancora in atto, e infine il 17/18 settembre la Fed comunicherà al mercato le proprie decisioni in merito alla riduzione degli acquisti di asset.
Quello che importa è che il mercato va verso uno scenario diverso da quello ormai conosciuto e abituale degli ultimi mesi e anni; questo stesso fatto comporta incertezza, la bestia nera degli investitori, e un assestamento complessivo dei mercati da una situazione completamente anomala e anormale a cui però tutti si erano abituati. Questa è la chiave di lettura di quanto accaduto negli ultimi giorni ed è probabile che questa fase di incertezza e nervosismo possa durare per diverse settimane; a rendere più sfidante l’attività degli investitori è la debolezza della ripresa economica americana ed europea, la fragilità di alcune parti del sistema finanziario e, infine, le domande su come e quanto velocemente si sgonfieranno le bolle che si sono create in questi anni.
Le banche centrali possono fare e hanno fatto molto, ma non possono cambiare le politiche economiche o le riforme sbagliate. Non è ipotizzabile un cambio radicale delle politiche monetarie che rimarranno accomodanti ed è ragionevole credere che in presenza di ulteriori peggioramenti o di miglioramenti meno forti del previsto la Fed possa modulare la propria “ritirata”, che però è stata annunciata, e che è evidentemente comparsa nell’orizzonte dei mercati.
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