Per la prima volta da quasi trenta anni (era il 1987 e alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan) il Presidente degli Stati Uniti ha deciso di ribaltare la decisione della Commissione Usa sul commercio internazionale. Il motivo? La Commissione sembrava voler dare ragione a Samsung, contro Apple, impedendo a quest’ultima l’importazione (e poi la vendita) di iPhone 4 e iPad 2 sul territorio americano a causa di una violazione di brevetti detenuti dalla società sudcoreana. La motivazione della decisione straordinaria presa da Barack Obama è che tale impedimento avrebbe dato un “potere eccessivo” ai detentori dei brevetti e che “avrebbe danneggiato i consumatori”. Il ministro del Commercio sudcoreano ha criticato la decisione del Presidente americano esprimendo “preoccupazione per i possibili impatti negativi di questa decisione sui brevetti di Samsung”.



La saga non è però finita perchè dopodomani (venerdì) lo stesso organismo deciderà se proibire l’importazione di alcuni smartphone e tablet negli Stati Uniti da parte di Samsung che siede a sua volta sul banco degli imputati per alcune violazione dei brevetti Apple. In caso di esito sfavorevole alla società sudcoreana non è atteso un uguale e contrario intervento di Obama, perché i brevetti in questione non sarebbero altrettanto importanti.



Questa è la cronaca di quanto finito negli ultimi giorni sulle prime pagine dei principali quotidiani economici internazionali; d’altronde Apple capitalizza oltre 420 miliardi di dollari ed è la prima società al mondo per capitalizzazione. Al di là dei torti e delle ragioni (Samsung aveva ragione nel primo caso) e dell’effettiva importanza dei brevetti violati, quello che conta è che Obama ha salvato Apple, americana, dall’eventualità che le fosse impedito di vendere i propri vecchi modelli per aver violato i brevetti di un’altra società, sudcoreana; le rimostranze del ministro asiatico non sembrano per niente ingiustificate. Possiamo usare, se non un sostantivo, almeno l’aggettivo “protezionistica” per qualificare la decisione del Presidente degli Stati Uniti e, sempre volendo minimizzare, possiamo avanzare una metafora dicendo che Samsung nella partita americana ha trovato il classico “arbitro casalingo”.



Obama ha scelto di tutelare gli interessi di un’azienda e non di un’altra in quanto americana e in quanto parte di un settore tecnologico di punta in cui gli Usa hanno la leadesrship globale (Microsoft, Apple, Google, ecc.); i prodotti Apple finiscono nelle tasche di decine di milioni di utenti, sono un prodotto premium al vertice della tecnologia. I profitti e soprattutto la parte più nobile del lavoro (fisicamente i prodotti si fanno in Cina) rimangono negli Usa. Nessun utente al mondo, sempre ammesso che sia venuto a conoscenza della notizia, deciderà mai di non comprare un iPhone a causa della decisione di Obama. È noto evidentemente, sicuramente ai massimi vertici politici americani, che ci sia una differenza tra un’azienda “nazionale” e una non e che la prima sia da tutelare più della seconda e che, in un certo senso, l’attributo “nazionale” sia un valore in quanto tale, soprattutto se si tratta di settori di punta; altrimenti non si spiegherebbe quanto accaduto.

Il secondo elemento da rilevare è che nessuno, in America, si è particolarmente scandalizzato per quanto successo; le ragioni sono comprensibili a tutti. Paragonare quello che è successo e che succederà questo venerdì con quanto succede con il dibattito in corso in Italia è un esercizio utile. Il dibattito è quello sulle privatizzazioni, nel nostro caso aziende chiave, e sulle transazioni che hanno visto aziende private passare da mani “italiane” a mani “non italiane”.

Ovviamente nessuno sostiene che nessuno straniero al mondo possa acquisire o possedere aziende italiane, ma il tema di preservare gli interessi economici, le ricadute occupazionali e tecnologiche almeno di settori decisivi in un mondo in cui è impossibile o difficilissimo ricreare quelle competenze da zero rimane prioritario. Apple non è statale e per dimensioni non è di fatto contendibile, ma è decisamente ragionevole credere che se qualcuno, per pura ipotesi un cinese, lanciasse una maxiopa il governo americano avrebbe qualcosa da dire e che, come minimo, il compratore saprebbe che la tutela legale sarebbe probabilmente finita.

La moral suasion, più pratica che moral, insomma sarebbe evidente. Le proposte da “libero mercato” che funziona sempre, efficienza dei mercati, privatizzazioni indiscriminate di tutto e il contrario di tutto non solo sono irragionevoli, ma non sono nemmeno valide in quella che sarebbe la patria del liberismo e dai cui lidi i profeti “nostrani” proclamano la nostra arretratezza culturale nei confronti di un mondo “perfetto” che in realtà non esiste.

Porsi delle domande sulla strategicità di alcuni settori e imprese pubbliche o sull’opportunità che si possano esercitare pressioni o mettere sul tavolo incentivi per evitare il passaggio da mani italiane a straniere di alcune imprese private in certi settori non è un dibattito da trogloditi della finanza e dell’economia. Chi lo dice vive fuori dal mondo, non solo quello italiano.

 

Twitter @annoni_pao

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