La valutazione di 30 miliardi di euro per il 100% di Tim Brasil emersa da uno studio commissionato dalla Findim di Marco Fossati, ieri non ha suscitato particolari entusiasmi tra gli investitori. In un mercato comunque ancora positivo, Milano in rialzo dello 0,17%, Telecom Italia ha chiuso con un calo dell’1% che lascia aperte solo due interpretazioni possibili: o il mercato non crede che 30 miliardi di euro siano una valutazione particolarmente buona per la controllata brasiliana oppure non crede che la stima sia attendibile. L’interpretazione in realtà si riduce immediatamente a una, e precisamente alla seconda, perché una valutazione ragionevole della controllata brasiliana si aggira intorno alla molto più modica cifra di circa 10 miliardi di euro, anche perché le prospettive economiche del Brasile non appaiono più così eccezionali, il mercato brasiliano è ormai quasi saturo e competitivo al punto che i potenziali compratori non sarebbero molti e si riducono probabilmente a uno solo coincidente con un consorzio formato dagli attuali tre competitor di Tim Brasil.

Posto che è impossibile credere a un “errore” così grossolano di uno dei principali azionisti di Telecom Italia, si deve riflettere sui motivi che possono avere spinto alla scelta di indicare una valutazione quasi tripla rispetto a quella ragionevolmente ottenibile sul mercato per la cessione della controllata brasiliana di Telecom. Uno dei terreni di scontro tra Fossati e Telco/Telefonica è l’opportunità o meno di cedere Tim Brasil. Telefonica ha tra gli obiettivi più importanti della propria partecipazione in Telecom Italia quello di tutelare i propri investimenti in Brasile; da questo punto di vista i conflitti di interesse potenziali sono evidenti. La necessità di tutelare tutti gli azionisti del gruppo garantendo un processo di dismissione di Tim Brasil trasparente e di mercato è un tema delicato. L’indicazione di Fossati ha da questo punto di vista l’effetto di scoraggiare gli investitori e di fissare un termine di paragone irraggiungibile per gli attuali venditori. Fossati ha “fissato” un prezzo altissimo per cui non esistono compratori e che farebbe sfigurare anche il migliore dei venditori. Sulla valutazione di Tim Brasil si assiste ancora allo scontro ormai datato tra gli azionisti di Telecom.

Tim Brasil è quanto rimane della presenza internazionale di Telecom Italia; è sicuramente un buon asset, con una buona posizione competitiva in un Paese che cresce. La questione della cessione di Tim Brasil e del suo prezzo giusto continueranno ancora per settimane a occupare pagine di giornali e ad appassionare schiere di analisti e investitori, ma a meno che si ipotizzino prezzi di vendita clamorosi che a oggi non sembrano né probabili né possibili la cessione, o meno, della società brasiliana non risolverà alcuno dei problemi principali di Telecom Italia.

Rimarrà infatti il problema di un azionista stabile possibilmente industriale, rimarrà il problema di una strategia che non si limiti al prossimo trimestre in un settore che sta vivendo grandi trasformazioni in termini di consolidamento e in termini di nuove strategie (British Telecom con i diritti sportivi, per esempio). Rimarrà anche il problema di un debito troppo alto per le attuali prospettive economiche del gruppo e quello della necessità di garantire gli investimenti in rete e la sua “indipendenza” come bene strategico per lo sviluppo del sistema Paese.

La questione della cessione di Tim Brasil così come viene discussa e presentata in questi giorni è una vicenda per investitori che si domandano quale sia il prezzo giusto a cui vendere e comperare, ma non elimina le preoccupazioni di chi si interroga sulle prospettive di medio lungo termine della società e del suo bene più importante; da questo punto di vista tanto è vivo il dibattito sulla questione “finanziaria” del prezzo di cessione di Tim Brasil, quanto langue quello sulla separazione della rete, sui suoi assetti proprietari e su quello che occorrerebbe fare per garantire gli investimenti.

Dopo aver ricevuto i comunicati stampa sulla cessione, fatti i debiti conti sugli effetti sui titoli quotati, letto qualche articolo sui nuovi scenari in Brasile scopriremo che i problemi sono ancora gli stessi, quelli di sei mesi e un anno fa e che si è perso ancora tantissimo tempo.