Settimana scorsa Fiat ha annunciato l’acquisizione del 100% di Chrysler per 4,3 miliardi di dollari; il titolo ha festeggiato la storica e a lungo attesa acquisizione con una performance borsistica da incorniciare (+16,4%) che testimonia in modo evidente l’apprezzamento del mercato per l’operazione. L’acquisizione è arrivata nonostante mesi e mesi di rumours sulla possibilità che Chrysler finalizzasse una quotazione che avrebbe fatto dilatare considerevolmente i tempi e probabilmente sfavorito Fiat, il compratore, sul prezzo. Il prezzo pagato da Fiat, poi, è stato sensibilmente inferiore a quanto si attendeva il mercato e veniva indicato nei rumours sulle trattative pubblicati.



Il senso industriale dell’operazione non è mai stato in discussione. Finiti i festeggiamenti, esaurite le reazioni iniziali non sembra ancora arrivato il momento di mettere da parte Fiat in attesa delle prossime novità. L’operazione è decisiva ed è utile interrogarsi già ora su cosa ci sarà nella nuova agenda di Marchionne, posto che i primi punti si sono esauriti con l’acquisizione del 1° gennaio.



Il primo punto è sicuramente l’ottimizzazione della struttura finanziaria del gruppo; nonostante Fiat detenesse la maggioranza assoluta di Chrysler da diversi trimestri, le tesorerie delle due società hanno continuato a viaggiare separate. Il bilancio di Chrysler, molto più solido di quello di Fiat, non ha portato al gruppo tutti i benefici potenziali e Fiat paga oggi circa 2 miliardi di euro di oneri finanziari all’anno e cioè la metà dell’utile operativo. Risparmiare su questa voce, soprattutto in un settore così competitivo e che richiede investimenti ingenti, è decisivo per le prospettive di medio lungo termine. Fiat deve sedersi al tavolo dei creditori di Chrysler e rinegoziare i covenant per ottenere tutti i risparmi possibili.



L’ipotesi dell’emissione di un convertendo, finita sui giornali immediatamente dopo l’annuncio dell’acquisizione, servirebbe sicuramente allo scopo rafforzando il bilancio di Fiat senza passare per un aumento di capitale, aiutando Marchionne nelle trattative con i creditori della società americana. Discorsi così “finanziari” in un settore così industriale potrebbero sembrare perfino fuori luogo e quasi contro-intuitivi, ma la realtà di un’industria con una competizione fortissima e con i margini così ristretti impone l’utilizzo oculato delle risorse e, soprattutto, di evitare sprechi così grandi e inutili.

Il secondo punto all’ordine del giorno è quello del futuro industriale. Il prossimo piano dovrebbe essere presentato ad aprile, ma è possibile già ora individuare alcuni dei temi centrali. Dal punto di vista delle alleanze e del posizionamento geografico, l’assenza più importante del nuovo gruppo è quella del mercato cinese, che è stato avaro di soddisfazioni per il gruppo di Torino, che non può non passare attraverso un’alleanza per stabilire una presenza duratura e profittevole in Cina. Suzuki e Mazda sono sempre i nomi più probabili e, da questo punto di vista, l’acquisizione di Chrysler renderà più appetibile le eventuali offerte di Fiat.

Fiat continuerà sicuramente a investire non per un atto di benevolenza, ma perchè imprescindibile per la sopravvivenza nel medio lungo termine del gruppo. Non è in questione se Fiat investirà negli Stati Uniti e in Brasile, perché la società l’ha sempre fatto e perchè i due mercati sono redditizi; il tema più incerto però è quanto sia forte la volontà del nuovo gruppo di investire in Italia, che di certo non offre il più competitivo dei sistemi dal punto di vista fiscale, burocratico e sindacale. Tra i molti argomenti a sfavore uno almeno, e nemmeno marginale, gioca a favore dell’Italia: Fiat ha uno scudo fiscale di almeno 4 miliardi di euro in Italia generato dalle perdite subite negli anni scorsi. Se il gruppo producesse e facesse profitti in Italia avrebbe una tassazione estremamente bassa saturando la capacità produttiva comunque disponibile.

Non è possibile nutrire grandi illusioni sulle prospettive del mercato italiano, Fiat potrebbe però usare gli impianti per produrre per esportare. La sfida, per niente facile e banale, presuppone la produzione di modelli di alta gamma e l’offerta di condizioni produttive allettanti da parte del “sistema-Paese”. Per la prima condizione ci sarebbero Alfa Romeo e Maserati con il rilancio della prima rinviato ormai da anni e su cui si attendono novità nel prossimo piano di aprile, sulla seconda occorre invece un cambio di approccio radicale. La buona notizia è che si tratta di una possibilità concreta, quella cattiva che c’è ancora tanto da lavorare e tanti compiti a casa per l’Italia.