Il ministro delle Finanze francese ha presentato ieri mattina una manovra che prevede un deficit su Pil superiore al 3%, per l’esattezza il 4,4%, nel 2015 sfidando le regole europee in materia di indebitamento pubblico e dichiarando che la Francia “respinge l’austerity”. Il proclama non è durato neanche mezza giornata perché nel primo pomeriggio il cancelliere tedesco Angela Merkel dichiarava che “una crescita di lungo termine e sostenibile si può ottenere solo sulla base di solide politiche di bilancio”, che “è importante per tutti adempiere ai propri impegni e doveri in modo credibile” e, infine, che “la responsabilità di ogni Stato è nel fare i compiti e dare sostegno alla propria competitività”. In pratica non è concesso deviare dalla politica tenuta dall’Europa finora, che rimarrà immutata, e le uniche leve per uscire dalla crisi o per non entrarci sono al livello dei singoli stati e in termini di riforme e tagli di spesa.

Il problema “Europa” sui mercati finanziari è ben presente, anche perché alla lista dei paesi in difficoltà negli ultimi mesi si è aggiunta la Francia da cui cominciano a uscire numeri piuttosto preoccupanti e che in ultima analisi portano alle dichiarazioni di cui sopra. L’Italia è sicuramente un malato grave, ma il fatto è noto e stranoto e al momento i riflessi finanziari della performance economica disastrosa non si sentono; lo spread tiene e dalla borsa non arrivano notizie particolarmente negative o giornate disastrose che finiscono sulle prime pagine dei giornali. La Francia, invece, è ancora una novità e il potenziale di peggioramento è consistente e sostanzialmente inesplorato. La speranza o l’attesa per il Quantitative easing della Bce per il momento è bastata a tenere a galla i mercati. La situazione, però, è meno lineare di quanto appaia e di quanto ci sia in superficie e comincia ad arrivare sulle pagine dei giornali che contano.

L’altro giorno sul Wall Street Journal è apparso un articolo sulla situazione economica italiana abbastanza inusuale; il pezzo ospitava le dichiarazioni di alcuni piccoli imprenditori nostrani che denunciavano l’impossibilità di investire date le prospettive economiche. In questo scenario tassi ancora più bassi sui finanziamenti non cambiano sostanzialmente nulla, perché la decisione, se investire o meno, si ferma ben prima di un’analisi sul costo del finanziamento. Non solo, le buone società possono tranquillamente mettere in concorrenza le varie banche, piene di liquidità, per strappare le condizioni migliori.

La gara tra le banche si concentra sulle società migliori, con poco rischio, perché le altre, date le condizioni dell’economia, comportano rischi imponderabili. Il Wall Street Journal conclude l’articolo con l’amara analisi del direttore del centro di ricerca “Open Europe”: il Qe europeo “è una versione più grande di quello che si sta già facendo e che non sta funzionando”.

I dati sulla deflazione, sulla disoccupazione che dovrebbero se non terrorizzare almeno preoccupare sono congelati, almeno sui mercati, da una fase di liquidità abbondante e dalla fiducia nella Bce. Un’analisi più “fondamentale” porta però a conclusioni meno ottimistiche. Il Qe della Bce non risolve i problemi dell’economia europea neanche per gli investitori che stanno sui mercati. Probabilmente anche le difficoltà dei Paesi emergenti stanno aiutando i mercati europei e forse data la liquidità attuale e quella promessa porsi certi problemi oggi, dal punto di vista dei ritorni sul mercatato, non paga.

La realtà però è chiara a tutti quelli che hanno gli occhi per vedere e le difficoltà della Francia non fanno altro che confermare che la politica adottata dall’Europa finora può, forse e per il momento, andare bene per la Germania che si ritrova in omaggio un cambio indebolito mentre per tutti gli altri c’è solo la crisi.

Il fatto che certe analisi arrivino sul Wall Street Journal è indice del livello di preoccupazione sull’economia europea con alcuni paesi, come l’Italia, anche con un debito pubblico pauroso. Gli investitori internazionali per fare soldi e performance non sono obbligati a investire in Europa. L’Europa, e l’Italia in particolare, ha un grande potenziale di recupero in teoria, ma in pratica non ci sono politiche in grado di affrontare i problemi veri; il potenziale di recupero teorico che non si traduce mai in pratica alla fine stufa anche gli investitori meglio intenzionati.

La notizia che si deve attendere che cambia per davvero non è quella sul prossimo Qe, ma quella sulla fine dell’austerity e su un cambio di visione in Germania. Le dichiarazioni di ieri non suscitano particolari ottimismi.