L’imminente debutto di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) sulle borse di Milano e New York e l’addio di Fiat è stata l’occasione per alcune dichiarazioni di “ampio respiro” dell’attuale Amministratore delegato e del Presidente Jaki Elkann. L’ad Marchionne ha dichiarato che nel 2018, alla fine dell’attuale piano industriale, lascerà il gruppo dato che “non ha più intenzione di fare ristrutturazioni”; nonostante il ruolo chiave che ha avuto Marchionne nella gestione di Fiat e ancora di più nell’operazione che ha portato all’acquisizione totale di Chrysler, l’annuncio, con largo anticipo, delle dimissioni non è apparso particolarmente “sensazionale” sia perché il 2018 è molto lontano, sia perché è difficile immaginare che a 66 anni (è nato nel 1952) Marchionne avrà ancora voglia di imbarcarsi in un altro piano industriale in un settore difficile e complicato come quello dell’auto. Il nuovo gruppo inoltre avrà più di tre anni per cercare e trovare un Amministratore delegato adatto al compito.



Le dichiarazioni del Presidente Elkann meritano forse qualche analisi in più: “Non sono un venditore”, ma la quota della famiglia potrebbe essere diluita “se ci sarà la possibilità di rendere la società più forte”; il presupposto è che, sempre secondo le parole di Elkann, il mercato è “ancora frammentato”. Le risorse necessarie per investire e sviluppare nuovi modelli con costi competitivi richiedono grandi volumi di vendita e dimensioni maggiori; anche dopo la fusione con Chrysler ci sono almeno sei gruppi auto nel globo che producono e vendono più auto di FCA, che oltretutto è molto debole in alcune aree chiave come l’Asia e nel segmento premium.



I problemi di Fiat non si sono risolti con l’acquisizione di Chrysler, né si risolveranno con la quotazione a New York. Questi sono certamente passi importanti nella giusta direzione e probabilmente, senza Chrysler e con il mercato europeo e brasiliano attuali, Fiat oggi avrebbe problemi molto più grandi e pochissimo margine di manovra. Fiat oggi però può permettersi di valutare con attenzione le opzioni sul tavolo. Il business dell’auto è difficile, molto competitivo e fa pagare molto care le scelte di investimento sbagliate; sicuramente non è l’ideale per un azionista che volesse dividendi stabili e ragionevolmente sicuri per un lasso di tempo considerevole. Questa esigenza giocherà probabilmente un ruolo non secondario nelle scelte future del gruppo.



Del business auto in realtà si sa almeno un’altra cosa: il settore premium, quello occupato con grandissimo successo da Audi, Mercedes e Bmw ha dinamiche e soprattutto margini che non hanno molto a che fare con quelli di chi produce auto di massa. Il settore lusso, quello di Ferrari, ha allo stesso modo margini e dinamiche a sé stanti.

Fondersi con una società di pari “dimensione” per sfidare colossi come Toyota, Gm o Volkswagen sarebbe sicuramente molto rischioso e richiederebbe molti investimenti con esiti incerti. Una fusione con un operatore europeo implicherebbe problemi politici e di antitrust molto rilevanti, mentre una fusione con un operatore come Suzuki comporterebbe una sfida industriale davvero lunga e complessa. Rimarrebbe il problema del segmento premium. A questo riguardo Fiat ha in corso un importante programma di rilancio di Alfa Romeo i cui nuovi modelli però non vedranno la luce prima di giugno/settembre 2015; al momento quindi è impossibile dire se il programma avrà successo o meno. Date queste variabili si potrebbe ipotizzare che Exor voglia rendere più sicuro e profittevole il 30% circa detenuto in Fiat.

Da una parte, dicevamo, c’è un’altra sfida industriale, dopo quella della fusione con Chrysler, molto impegnativa, dall’altra c’è con ogni probabilità “l’inserimento” di Fiat in una realtà più grande e con le spalle più grosse. In questo caso non avrebbe senso “cedere” il controllo di un asset unico e profittevole come Ferrari che probabilmente verrebbe “spinoffata” prima di un’eventuale operazione, così come Maserati. Di quello che rimane interesserebbe sicuramente la quota di mercato negli Stati Uniti, tramite Chrysler, e probabilmente anche il marchio Alfa Romeo il cui destino, e l’appetibilità per l’azionista di controllo, è legato al successo dei nuovi modelli.

Volkswagen sarebbe sicuramente in prima fila sia per l’attuale presenza marginale negli Stati Uniti, sia perché non ha mai fatto mistero di volere il marchio del Biscione. Anche Gm probabilmente potrebbe essere interessata. Le parole di ieri di Elkann autorizzano a immaginare nuovi scenari e possibilità, mentre la complessità del settore auto rende sensate molte opzioni; dieci anni fa l’acquisizione di Chrysler da parte di Fiat sarebbe stata considerata “fanta-finanza” e oggi invece è la realtà acquisita. Persino la storia recente di Fiat ci autorizza a “pensare” in grande.