Ieri, come ormai da molti mesi a questa parte, alcuni rumour hanno fatto muovere il titolo Saipem che ha chiuso a quasi +4% su un mercato che si è fermato a poco meno di +1%. In dettaglio è stato un articolo apparso su Repubblica a delineare uno scenario in cui Saipem, in difficoltà per l’aumento dei debiti e le revisioni degli obiettivi, finirà per essere venduta da Eni (che ne controlla il 43%) ad alcuni fondi sovrani mediorientali mentre il Fondo strategico italiano potrebbe comprare una quota per “mantenere l’italianità”. I rumour di cessione di Saipem continuano da mesi e si alimentano sia, appunto, per una situazione patrimoniale che è peggiorata, sia per le stesse dichiarazioni dell’Amministratore delegato di Eni che ha dichiarato di essere venditore pur specificando di non avere fretta e di voler aspettare un momento migliore.

La confusione attorno ai destini industriali della società è ormai ai massimi livelli e probabilmente vale la pena evidenziare alcuni punti. Il primo è che Saipem è leader globale nella tecnologia per l’estrazione del petrolio soprattutto nelle condizioni più sfidanti e complesse; le società con tecnologia ed esperienza per operare ed estrarre all’attuale frontiera tecnologica sono una manciata e Saipem è una di queste. Questo è un fatto molto noto nel settore.

Il fatto è talmente noto e riconosciuto che la lista dei potenziali interessati apparsi nei rumour è lunghissima e va dai principali concorrenti (per esempio, Subsea 7) a fondi sovrani che hanno molta dimestichezza con petrolio e dintorni, fino a società petrolifere come Rosneft (il cui presidente ha dichiarato di essere interessato) e persino cinesi.

La società derelitta in borsa, massacrata anche da indagini giudiziarie è la stessa per cui tutti si mettono in fila quando si parla di cessione. I rumours sono certamente fondati, anche perché il “dossier” è sicuramente sui tavoli delle banche d’affari e tra queste anche di quelle italiane.

Il secondo punto è che nessuna major petrolifera controlla società simili a Saipem; quindi si può tranquillamente dire che Eni con la cessione eliminerebbe un’anomalia. L’interesse di Rosneft dovrebbe essere sufficiente per capire che in un mondo che va avanti con gas e petrolio avere le competenze per estrarlo e lavorarlo trascende i ritorni economici e finanziari. In questo senso il paragone con le concorrenti di Eni regge fino a un certo punto, perché il peso politico dell’Italia non è né quello dell’America, né quello della Francia.

Presentarsi al tavolo con la Russia per firmare un contratto di fornitura di gas con in “mano” la carta Saipem non è un dettaglio secondario, appunto perché la tecnologia non è diffusa o replicabile. “L’anomalia Eni” esiste oggi anche grazie a Saipem e nonostante un peso politico italiano limitato (tanto più con il desolante scenario attuale).

Il terzo punto è che i problemi di Saipem sono veri, ma i miliardi di debiti che finiscono sui giornali per alimentare una sorta di situazione da fine del mondo messi in prospettiva dipingono un altro scenario. Saipem ha circa 5 miliardi di debiti e probabilmente circa 1,5/2 sono di troppo; Eni che la controlla capitalizza 60 miliardi di euro, fa circa 120 miliardi di euro di ricavi all’anno e quasi 5 di utile. In altre parole la situazione di Saipem è un problema relativo per Eni che se ne potrebbe fare carico tranquillamente, trovando con tutta la calma possibile e immaginabile la situazione migliore per tutelare il “sistema Paese” in un settore così sensibile e strategico. Oggi invece si parla di cessione come di un fatto imminente, ovviamente ai minimi di borsa degli ultimi cinque anni e con il settore penalizzato da un calo del petrolio che riflette una guerra di prezzo che di certo non potrà durare per sempre. L’Italia perderebbe un asset di valore inestimabile nel momento peggiore sia economico, sia in un certo senso politico in una fase in cui si siglano trattati energetici di importanza decennale.

Quando si tratta di tecnologie non replicabili, impossibili o quasi da replicare in casa se non in tempi lunghissimi tutti sono interessati; non è una storia nuova per noi lettori italiani, né limitata a Saipem dato che da molti mesi a questa parte gioielli del made in Italy sono partiti e continuano a per altri lidi (Finmeccanica sarà la prossima ad aprire le stagioni delle svendite). È davvero un problema per l’Italia o Eni un miliardo e mezzo di debito?

Tutto questo avviene nella settimana delle polemiche per lo spot della Bce sulla nuova banconota da 10 euro in cui l’italia è rappresentata da una cameriera che prende la mancia. Dopo quello che abbiamo letto e leggiamo la mancia dei turisti sarà l’unica cosa che ci rimarrà, insieme all’immancabile pizza e mandolino. La ripresa ovviamente non ha nulla a che fare con le Saipem o le Finmeccanica (e le sue controllate) di questo mondo che in Italia pagano stipendi a migliaia di persone e centinaia di ingegneri… L’impressione è che per qualche centinaio di milioni e l’interesse di pochissimi si stia vendendo il futuro industriale e con esso anche il benessere economico.