Dopo otto anni di recessione, di pressione fiscale record e con una marea di progetti infrastrutturali fermi per mancanza di fondi, gli italiani continuano a pagare un miliardo e settecento milioni di euro all’anno per avere la televisione di Stato. È singolare che nello stesso giorno in cui i giornali danno conto dei progetti di cessione del 5% di Enel (ai prezzi di ieri, circa 1,7 miliardi), di vendita di Saipem e poi di Ansaldo Breda e Ansaldo Sts (e già che ci siamo Ferrovie e Poste) compaia anche la proposta di inserire il canone Rai in bolletta in modo che, finalmente, lo paghino per davvero tutti. “L’opzione nucleare” per il pagamento delle tasse viene per la prima volta contemplata per la televisione, dai Tg a Ballando con le stelle.

A proposito di canone, il bilancio 2013 della Rai evidenzia che mentre i ricavi pubblicitari calavano dell’8,5% rispetto al 2012 a 682 milioni di euro, il canone aumentava dello 0,4% a 1,755 miliardi di euro; è chiaro che l’anomalia non è il crollo della pubblicità determinato dalla crisi e che ha colpito abbastanza indiscriminatamente tutto il settore “media”: per esempio, il principale concorrente della Rai, Mediaset, nel 2013 ha accusato un calo dei ricavi in Italia dell’8,7%. Mediaset nel 2013 ha avuto quasi gli stessi ricavi della Rai (circa 2,6 miliardi contro i 2,7 della Rai, di cui 1,7 rappresentati dal canone) con un costo del personale di meno della metà (431 milioni per Mediaset contro 994 milioni della Rai). I costi per beni e servizi nel 2013 sono stati di 1,1 miliardi alla Rai in linea con quelli di Mediaset. Produrre un euro di pubblicità alla Rai costa 3 euro; si potrebbe anche aggiungere che con un 1,7 miliardi di canone all’anno ci si potrebbe aspettare molti minuti in meno di spot.

L’analisi potrebbe andare avanti e, per esempio, sottolineare che la situazione non può che peggiorare dato che la Rai non ha diritti live per nessuno dei principali eventi sportivi (campionato, Champions League, MotoGp, ecc.); se partecipasse alle gare si aprirebbero problemi di concorrenza a livello europeo enormi dato che batterebbe i privati con i soldi incassati con le tasse. Per gli inserzionisti, il contenuto live è quello più prezioso, come testimoniato dall’esplosione dei prezzi dei diritti; la Rai non li ha e non li può avere. In teoria ciò dovrebbe naturalmente condurre a una revisione dell’offerta televisiva e dei costi, altrimenti la quota totale di costi che il canone si ritrova a coprire non solo non scenderà mai, ma dovrà salire e tutto questo a fronte di un’offerta strutturalmente monca rispetto a quella dei concorrenti. In pratica, e in un mondo normale, il taglio dei costi, dei duplicati, degli sprechi, delle sedi marginali, ecc. sarebbe un processo non rinviabile.

A fronte invece di una situazione economica drammatica, di un’imposizione fiscale esagerata il cda della Rai respinge il taglio di 150 milioni, mentre il Governo per mantenere immutato lo stato delle cose e di fronte, probabilmente, a un’evasione sempre più forte decide di rendere il pagamento del canone impossibile da evitare. A proposito di evasione è chiaro che non solo la crisi è un fattore, ma che in una fase di taglio dei costi famigliari la televisione è naturalmente uno dei primi a essere affrontato: tra alimentari e televisione o tra abbonamento del treno e canone è chiaro che il secondo è sempre il primo a saltare. Una linea metropolitana nuova di pacca (per esempio, la linea 5 a Milano) o un’autostrada (per esempio, la BrebeMi) costano più o meno come quanto incassa la Rai tutti gli anni grazie al canone.

È singolare poi, dicevamo, che i soldi della cessione del 5% dell’Enel di cui si parla in questi giorni che faranno sparire un bel po’ di dividendi siano più o meno gli stessi del canone o che il valore della quota di Eni in Saipem, la cui cessione farà invece sparire un bel po’ di ingegneri, non sia particolarmente distante dallo stesso canone. In una fase in cui l’Italia cerca, giustamente, di cambiare le regole europee sull’austerity e, soprattutto, di far cambiare idea ai tedeschi, l’immagine di un Paese in crisi nera che preferisce letteralmente a tutti i costi tenersi la televisione e vendersi il resto non è un grande spettacolo e possiamo solo immaginarci cosa penserà il contribuente tedesco medio.