Dopo un’ora e mezza scarsa dall’apertura, il mercato italiano ieri mattina aveva già cambiato segno tre volte prima di chiudere con il botto a +3,27% (ma era negativo ancora nel primo pomeriggio); una volatilità non male considerato che nei due giorni di borsa precedenti (venerdì e lunedì) il mercato aveva perso circa il 6% con due performance da -3% consecutive.
A due settimane scarse dal Natale ci si aspetterebbe dei mercati più tranquilli con le performance dei fondi ormai chiuse e i gestori che cominciano a selezionare qualche idea per l’anno nuovo. Invece, si registrano movimenti anomali mentre si stanno creando situazioni decisamente preoccupanti. Il calo del petrolio, inarrestabile (anche ieri -3% sotto i 55 dollari in giornata per poi rimbalzare e chiudere in positivo), sta mandando in crisi nera la Russia (che aveva fatto il budget statale con previsioni di 95 dollari): ieri l’intervento della banca centrale russa (tassi alzati al 17% dal 10,5%) per difendere il tasso di cambio crollato a 80 sull’euro dai 50 scarsi di agosto non ha sortito nessun effetto e nel pomeriggio il cambio era volato oltre i 90. Significa in sostanza che oggi a parità di stipendio un turista russo, per esempio, ha la metà del potere di acquisto in Europa e tutto questo nel giro 4/5 mesi; l’Italia, per la cronaca, è il secondo esportatore, tra i Paesi Ue, verso la federazione Russia (il principale mercato per le esportazione italiane tra i Paesi Brics).
I “nervosismi” del mercato che si traducono in giornate sull’ottovolante non si limitano alla Russia, che sarebbe già sufficiente; il calo del prezzo del petrolio sta mettendo sotto pressione tutte le economie basate o dipendenti dall’oro nero che in alcuni casi erano già in difficoltà (per esempio, il Venezuela) mentre continuano i timori per l’andamento dell’economia cinese (indice Pmi sotto i 50 per la prima volta negli ultimi sette mesi). Rimane sullo sfondo la preoccupazione per i Paesi emergenti che stanno “subendo” il rafforzamento del dollaro. L’elenco di criticità è quindi abbastanza lungo e vale la pena di ripercorrerlo per mettersi nei panni dell’investitore medio.
Bisognerebbe toccare almeno un’altra questione. Lo scenario in Europa non appare particolarmente esaltante. La ripresa su cui si scommetteva sei mesi fa non solo non esiste, ma nemmeno si intravede e comincia invece ad aleggiare lo spettro della deflazione. Questo avviene mentre, sempre in Europa, rimangono situazioni critiche (la Grecia) o facilmente individuabili dal mercato come tali (l’Italia). Non solo non c’è la crescita, ma la Banca centrale europea, causa violenta opposizione tedesca, non si decide a lanciare il Quantitative easing che almeno metterebbe al ripario i debiti sovrani dalla speculazione.
Ancora ieri il governatore della Bundesbank Weidmann dichiarava che anche un’inflazione sotto zero per diversi mesi non significherebbe che è in atto una spirale deflattiva e di essere “scettico riguardo un ampio programma di Quantitative easing”. In uno scenario di questo tipo la situazione italiana appare sicuramente critica tanto più con le gravi incertezze politiche attuali.
Il mercato di questi giorni, con la complicità del crollo del prezzo del petrolio, sta anticipando temi che normalmente si sarebbero affrontati a gennaio. L’Europa rappresenta per i mercati globali una fonte di preoccupazione e una delusione totale ancora alle prese, dopo cinque anni, con il problema greco, senza prospettive di crescita e senza, soprattutto, nessuna strategia diversa dall’austerity.
L’Italia, che giustamente chiede un cambio di linea all’Europa, non riesce a risolvere nessuno dei suoi problemi a partire da una burocrazia asfissiante e da un sistema pubblico inefficiente (giustizia inclusa); i problemi sono ormai noti e stranoti e vengono immancabilmente messi nero su bianco dalle agenzie di rating in occasione delle revisioni. La “pazienza” del mercato sembra essersi esaurita, mentre non è noto come l’esigenza di fare performance nel 2015 possa tradursi in decisioni di investimento sull’Europa e sull’Italia perché non è detto che ci si limiti, data la situazione, passivamente, a non comprare o a non partecipare.
Al di là dell’incredibile miopia, o malafede, della Germania, per l’Italia sarebbe il caso di virare l’agenda sulle riforme, in qualsiasi ambito e soprattutto in quello, a costo zero, “burocratico”, necessarie a far ripartire l’economia anche per guadagnare un minimo di credibilità; a questo riguardo non è mai troppo tardi. Non si può sempre e solo sperare nella Fed qualsiasi cosa dica stasera o negli innamoramenti dei mercati che iniziano a gennaio e finiscono in niente a giugno.