Ieri, all’ultimo e terzo tentativo e con un quorum abbassato, il Parlamento greco non ha trovato una maggioranza sufficiente a eleggere il presidente della Repubblica; questo “fallimento” determinerà elezioni anticipate che si terranno a fine gennaio o al massimo a inizio febbraio (la data più probabile è il 25 gennaio). Gli ultimi sondaggi danno per favorito il partito anti-euro Syriza che potrebbe ottenere una vittoria alle elezioni e trovarsi poi a rappresentare la Grecia nelle trattative con l’Europa per risolvere il problema del rifinanziamento del debito pubblico greco. Si apre quindi la possibilità di un’uscita dall’euro della Grecia o di una richiesta di vedersi condonato parte del proprio debito di cui Syriza si farebbe promotore.
In entrambi casi verrebbe rotto il tabù dell’irreversibilità dell’euro o della garanzia che i debiti pubblici espressi in euro siano a prova di fallimento. Allo stesso modo si aprirebbero scenari incerti per il sistema finanziario e bancario greco sia per una possibile corsa agli sportelli, sia per una chiusura traumatica delle relazioni tra Bce e banche greche in cui la prima garantisce liquidità alle seconde. Il mercato non ha reagito benissimo alla notizia e, per esempio, la borsa di Milano è arrivata a perdere quasi il 3%.
Da qualche settimana sui mercati molti si erano dovuti, e di nuovo, riconvertire a esperti di politica greca per cercare di capire quale sarebbe stato l’esito delle votazioni; da oggi i sondaggi elettorali di una delle più piccole economie dell’area euro arriveranno puntuali sui tavoli degli investitori. Forse cominceranno a bucare anche le pagine dei principali quotidiani incredibilmente e completamente distratti nelle ultime settimane rispetto a una questione di questa portata.
La domanda sottointesa è infatti quanto e come l’instabilità politica in Grecia possa influenzare il resto dell’eurozona: dopo quanto successo nel 2010 non ci si aspetterebbero sottovalutazioni. Non è ancora certo quale possa essere l’esito delle elezioni sia perché in un mese molte cose possono cambiare, in termini di intenzioni di voto, sia perché sembra improbabile che Syriza possa governare da sola. Questa può essere una delle ragioni per cui i mercati hanno limitato le perdite e chiuso con performance molto meno preoccupanti di quelle che si stavano delineando ancora nel primo pomeriggio. La seconda parte della domanda è quella che interessa di più i mercati ed è relativa alle conseguenze per l’area euro delle novità di ieri.
A questo proposito, ieri il Presidente del consiglio Renzi ha dichiarato di escludere il rischio contagio perché l’Italia e la Grecia sono molto diverse. Non è quello che si è visto ieri con il peggioramento dello spread Btp/Bund e con la borse spagnola e italiana, guarda caso, a -1 mentre il resto d’Europa, Francia inclusa, chiudeva invariata; il mercato potrà anche sbagliarsi, anche se dubitiamo, però ha capito subito dove era il caso di guardare.
La diversità dell’Italia dalla Grecia, abissale ancora oggi, non ha di certo impedito allo spread di raggiungere quota 550 nel 2011 e di certo in questi tre anni la differenza, sempre abissale, si è almeno un po’ ridotta. Il mercato giustamente si chiede come possa reagire l’Europa di fronte a una nuova crisi greca e di fronte alla prospettiva che qualcuno possa pretendere una revisione delle regole adottate finora. Come si possa comportare la Bce che si starebbe apprestando a un Quantitative easing, osteggiato a più riprese dalla Germania, è una delle domande legittime che a questo punto si farà il mercato. La Bce comprerà titoli greci e i tedeschi lo permetteranno? Si comprende come le questioni aperte ieri non siano esattamente marginali.
A prescindere dalle analisi quello che è già chiaro è che l’Europa presenta diversi punti di vulnerabilità e che negli ultimi anni si è rivelata incapace di risolverli. La crescita non c’è e si agita lo spettro della deflazione, stati di dimensione significativa non riescono a trovare una via convincente per uscire dalla crisi e intraprendere la strada della ripresa. L’unico freno che ha tenuto a bada la speculazione più cattiva è l’azione della Bce, ma nella misura in cui si comincia a mettere il seme del dubbio negli investitori, riguardo alla “certezza Bce”, si aprono scenari in cui il mercato può cominciare a esplorare le criticità e a mettere sotto pressione lo schema (fragile?) che oggi permette all’Italia di pagare il 2% di interesse sul Btp. Se questa fosse l’eventualità non ci sarebbero dichiarazioni di politici che possano mettere al riparo.
Dopo quasi cinque anni l’Europa si ritrova nella stessa situazione con gli stessi problemi senza aver mai cambiato ricetta. L’Italia si presenta ai mercati con un altro anno di recessione e può farsi bella del Jobs Act e dell’eliminazione delle province (in compenso bisogna ancora perdere giornate per cercare di capire come si fa a pagare le tasse). Forse sarebbe il caso di cambiare marcia con il nuovo anno.