Ieri il mercato italiano ha chiuso con un rialzo dell’1,3% facendo registrare la migliore performance d’Europa, esclusa la Grecia; lo spread tra Btp è Bund stava al modestissimo livello di 202 e il decennale italiano rendeva la miseria del 3,7%. Dall’inizio dell’anno la borsa italiana segna il rialzo migliore tra le borse europee (sempre Grecia esclusa) a un ritmo decisamente sostenuto: +6% in un mese e mezzo scarso annualizzato farebbe la performance della vita. Sarebbe anche abbastanza inutile ripercorrere le differenze nettissime, in peggio, tra i dati macroeconomici italiani del 2011 e quelli odierni. Si dovrebbe anche concludere che le incertezze che da qualche settimana e mese attraversano la politica italiana, che in altre fasi avevano ripercussioni evidenti, ormai non hanno più alcun effetto sui mercati.
Un anonimo investitore anglosassone che ieri avesse distrattamente letto delle ultime vicende politiche italiane non ne avrebbe ricavato un’impressione di particolare solidità e di certo non avrebbe apprezzato la “responsabilità” e stabilità di un Paese che sta vivendo la peggiore crisi da, almeno, la fine della Seconda guerra mondiale. L’esempio ha il solo scopo di evidenziare che gli investitori, di certo non raffinatissimi conoscitori delle vicende politiche italiane, non possono essere particolarmente ottimisti sui destini del governo: eppure rimane il +1,3% di ieri e il +6% da inizio anno.
Come minimo ci sarebbero, in teoria, elementi per nutrire qualche preoccupazione sul futuro della economia italiana e delle imprese che in Italia fanno ricavi e possibilmente utili. Le imprese più domestiche in assoluto del listino, le banche, stanno invece trainando la riscossa della borsa di Milano; Intesa Sanpaolo ieri ha chiuso ai massimi dalla primavera del 2011 (quasi tre anni).
Forse il mercato scommette forte su Renzi che a fine gennaio in un articolo apparso sul Financial Times veniva salutato come “Italy’s best hope” (la migliore speranza dell’Italia); certo Renzi piace ai mercati e può vantare ottime conoscenze a Londra tra italiani di successo trapiantati nel magico mondo della finanza londinese che preparavano programmi pieni di raccomandazioni di privatizzazioni e cessioni di patrimonio pubblico. Ma qualsiasi analisi che si limiti ai soli confini nazionali rischia di essere completamente fuorviante.
L’Italia è stata, oltre qualsiasi evidenza, sballottata all’insù o all’ingiù dagli andamenti dei mercati finanziari globali; nessuno, si spera, crede ancora alla favola che Monti abbia salvato l’Italia dallo spread a 550, anche perchè ormai la letteratura ufficiale che si legge sui quotidiani inglesi ha inserito il governo Monti alla voce esperimenti, miseramente, falliti. Oggi, secondo ogni dato macroeconomico, l’Italia è molto più “fallita” e con molte meno prospettive, via sterminio di centinaia di imprese e migliaia di posti di lavoro, di quanto lo fosse ad autunno 2011. Il nostro Paese è stato sicuramente vittima o, meglio, ha subito decisioni finanziarie e economiche prese da altre parti e ha la colpa di non aver saputo in questi anni fare niente per esercitare un ruolo diverso da quello della comparsa secondaria.
Gli ultimi anni della borsa e del debito sovrano italiani si spiegano con le decisioni prese dalle banche centrali; l’immissione di liquidità della Fed o gli impregni presi dalla Bce hanno determinato i destini finanziari italiani. La liquidità evidentemente è ancora abbondante e ha deciso di puntare sulla piccola parte del globo rappresentata dall’Europa periferica sull’assunto che si sia ormai raggiunto il minimo e che da qui si possa solo migliorare. L’Italia è la scommessa migliore del mazzo non perchè sia più brava, ma perchè, non avendo fatto assolutamente nulla negli ultimi anni, e avendo una quantità mostruosa di miglioramenti e riforme da fare, ha ancora amplissimi margini di miglioramento.
Burocrazia cieca e soffocante, spesa pubblica improduttiva senza alcun limite, legislazione del lavoro antiquata se non apertamente ostile alle imprese e così via rappresentano un formidabile riserva di margini di miglioramento che gli altri non hanno. È stata Deutsche Bank ieri a scrivere in un report sulla recente decisione della Corte costituzionale tedesca sull’Omt che l’Italia, ritardataria rispetto a tutti nella ripresa, mostrerà un numero di Pil positivo nel quarto trimestre; secondo Deutsche Bank, il mercato non percepisce i rischi dell’Europa periferica e questo basta nel contesto finanziario attuale per sposare la tesi del peggio è passato.
Oppure, ipotesi ancora più interessante contenuta nel report di Deutsche Bank, proprio la decisione della Corte costituzionale tedesca che ha messo in discussione la legittimità del programma Omt apre alla possibilità che in caso di nuova crisi finanziaria senza alcuna rete di protezione della Bce ci si avvii verso un’Europa più “federale” e a una revisione dei trattati perchè quello attuale è “stato spinto fino ai suoi limiti”. In pratica, dato che la soluzione monetaria non ci sarà più, se ci sarà un’altra crisi finanziaria o si fa quello che dice la Germania alle condizioni della Germania oppure ognuno per conto suo e tanti auguri; ognuno scelga, dice la Germania, e poi ci faccia sapere. Forse, pensano i mercati, un’Italia fuori dall’euro ha da guadagnare ed è meglio di un’Italia dentro l’euro con la Germania.
Comunque la si veda, le vicende politiche italiane sono da ridimensionare e di molto nell’analisi dei fenomeni finanziari. Rimarrebbero alcune priorità. Ad esempio, non è mai troppo tardi per fare le riforme giuste e l’Italia a questo riguardo ha solo l’imbarazzo della scelta su dove cominciare. Inoltre, sarebbe meglio salvaguardare quel poco di “sistema Paese” sottoforma di imprese e partecipazioni statali strategiche che è rimasto perchè strumento di un minimo di indipendenza economica a politica.
Bisognerebbe trovare anche qualche alleato, ma questo è un tema troppo grande per chi scrive. I giochi politici italiani che non si traducono in niente non interessano davvero a nessuno sui mercati. Interessebbe a noi che si smettesse di giocare, ma questo è un altro discorso e di certo non possiamo pretendere che interessi all’investitore internazionale, che ha come unica preoccupazione quella di arrivare al bonus a fine anno, oppure al Paese “concorrente” che deve pensare ai suoi di problemi nonostante e contro tutti.