Una delle misure annunciate mercoledì dal neo-primo ministro Renzi riguarda l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20% al 26%; l’incremento avverrà a maggio e servirà a finanziare la diminuzione dell’Irap pagata dalle imprese. Occorre subito precisare che la norma ha poco a vedere con la “Tobin tax” che colpisce le transazioni effettuate sul mercato italiano. Questa nuova aliquota si applica a un ampio spettro di strumenti finanziari detenuti da italiani che vanno dal conto corrente e conto deposito fino alle azioni, passando per obbligazioni e fondi comuni. In pratica, al netto delle tasse, i guadagni realizzati su questi strumenti, avranno una riduzione del 7,5% (fatto 100 il guadagno al lordo delle tasse quello netto passerà da 80 a 74).

È molto presto per dire se questa norma avrà un impatto sulla borsa italiana, ma si può ritenere che sarà basso sia perchè i mercati si sono mossi per trend globali che, in un certo senso, hanno ignorato i fondamentali o i dati “micro”, sia perché i movimenti sulla borsa sono stati influenzati da investitori stranieri più che domestici. Il problema in questo caso sembra quindi tutto italiano e rimane qualche questione che è utile sollevare.

La prima e forse più evidente è il regime di favore che godranno i titoli di stato in termini fiscali, dato che per questo tipo di strumenti l’aliquota rimarrà al 12,5%, in pratica meno della metà del nuovo 26%. L’intento della norma è chiaro ed è quello di incentivare l’acquisto di obbligazioni statali tra i risparmiatori italiani per, in un certo senso, mettere al riparo il debito italiano dalle ondate della speculazione e garantire allo Stato di potersi rifinanziare senza troppe difficoltà. In generale, questo nuovo regime non è un grande incentivo allo Stato per diminuire il proprio debito e le proprie inneficienze e anzi determina una vera concorrenza sleale, almeno per gli italiani, nei confronti delle imprese che emettono obbligazioni.

Si sono già avuti casi negli ultimi mesi di società quotate che hanno emesso debito sostanzialmente in linea con quello italiano. Un così diverso regime di tassazione non potrà non essere preso in considerazione nelle scelte di investimento. Allo stesso modo si determinerà un incentivo a trasformare i depositi sui conti correnti in obbligazioni statali. Questo avviene in una fase storica in cui i rendimenti delle obbligazioni statali sono minimi. È possibile quindi immaginare un aumento della quota di debito pubblico italiano detenuta da italiani.

Ciò potrebbe diminuire l’impatto di possibili nuovi scossoni finanziari, ma è chiaro che un eventuale “haircut” del debito italiano sarebbe meno problematico per gli investitori esteri dato che colpirebbe per una grande parte i risparmiatori italiani “fiscalmente inchiodati” sui Bot. L’altro grande vincitore, insieme ai titoli di stato, è l’“affitto”; comprare un immobile e metterlo a reddito è fiscalmente più conveniente che tenere i soldi sul conto corrente, comprare azioni o obbligazioni.

Il secondo punto è perchè si sia deciso di non fissare alcuna soglia per rendere flessibile questa aliquota. Chi investe dieci milioni di euro e chi ne investe invece diecimila pagherà la stessa aliquota.Il termine “rendita finanziaria” suscita di per sè, anche comprensibilmente, una certa antipatia, ma si può mettere in dubbio, senza doversi esporre a grandi critiche, che la definizione si possa applicare a qualche decina di migliaia di euro faticosamente risparmiate magari per avere il minimo necessario per fare un mutuo. Non sembra molto equo non aver previsto alcuna soglia o scala nemmeno per importi molto modesti.

Le nuove aliquote incentivano i risparmiatori italiani a comprare Bot e immobili; è lecito dubitare che ciò rappresenti il migliore dei mondi possibili o che sia proprio quello che volevamo, soprattuto se lo scopo è tagliare la spesa improduttiva statale. Non ci resta che sperare che lo Stato non fallisca e si comporti responsabilmente trovando in se stesso abbastanza motivazioni per ridurre la spesa; di certo non avrà motivazioni dai risparmiatori italiani che volenti o nolenti vorranno comprare il debito statale.