Giovedì è stato reso noto da Consob che la Banca centrale cinese ha superato il 2% di Enel e Eni. Le due società sono rispettivamente la principale utility italiana e una delle principali società petrolifere del mondo e hanno in comune il governo italiano come principale azionista. Nelle ultime settimane è diventato ormai usuale osservare la comparsa nell’azionariato di alcune delle principali società italiane, soprattutto banche, di investitori istituzionali esteri; è il caso, per esempio, di Blackrock che ha acquistato quote significative in alcune delle principali istituzioni finanziarie italiane. La “nazionalità” dei soggetti che si sono affacciati sul mercato italiano non è stata finora particolarmente esotica o strana e il fondo americano Blackrock non ha un “passaporto” particolarmente nuovo. Ciò che ha colpito finora è la quantità di investimenti globali che si è riversata sul mercato italiano; il rally quasi ininterrotto che ha coinvolto la borsa di Milano negli ultimi mesi è stato sostanzialmente determinato dal flussi finanziari internazionali che hanno scelto di puntare sul sud Europa e sull’Italia.
Le ragioni della riscoperta di questo angolo di pianeta sono molteplici. La liquidità ancora abbondante si riversa sulle azioni di mercati che sono lontani dai massimi e dove gli scenari di ripresa, indipendentemente dal fatto che la ripresa si realizzerà mai, possono giustificare valutazioni molto più alte delle attuali. Sappiamo tutti che l’Italia viene da una crisi economica di quasi 5 anni e che, in teoria, se ci fosse la ripresa le imprese migliorerebbero grandemente i propri risultati rispetto a quelli drammatici di oggi. Questo mercato offre tutti gli elementi perché uno scenario di questo tipo si possa immaginare; chi ha comprato Italia dall’altra parte dell’Oceano non ha spessissimo alcuna idea né della reale situazione economica italiana né di quella politica e istituzionale. Basta in certe analisi soffermarsi sul fatto che i risultati di oggi sono molto peggiori di quelli di cinque anni fa e che se ci fosse una ripresa il miglioramento sarebbe sostanziale.
Non è il caso di farsi particolarmente impressionare dalle percentuali rotonde con cui i fondi entrano sul mercato italiano. Il mercato italiano è minuscolo e, giusto per dare un’idea, la sola Apple capitalizzava a un certo punto più di tutte le azioni quotate sulla borsa di Milano. I numeri che fanno impressione qua in Italia probabilmente sono poco più che ordinaria amministrazione tra investitori abituati a dimensioni molto maggiori. È possibile che la banca centrale cinese non stia facendo ragionamenti molto diversi da quelli di Blackrock che decide di scommettere in modo deciso sul settore finanziario e sull’economia italiana.
Il fatto che il mercato italiano sia di modeste dimensioni e che le società arrivino da anni di cali molto significativi determina una certa vulnerabilità per il sistema. Non è, evidentemente, una questione di protezionismo sostenere che banche, società petrolifere e energetiche siano strategiche per la crescita e lo sviluppo economico del Paese. Non è fanta-finanza immaginare che nei mesi bui dello spread a 500 qualche telefonata sia intercorsa tra le banche e il governo italiano per sondare la disponibilità a sottoscrivere obbligazioni statali; non è allo stesso modo fanta-economia che Enel e Eni siano al centro di delicate partite di approvvigionamento di gas e petrolio e che svolgano un ruolo chiave in un Paese privo di risorse, che ha scelto di privarsi dell’energia nucleare (poi però compra energia elettrica dalla Francia) e in cui prima di mettere giù anche solo una pala eolica occorre vincere una gara complicatissima contro enti locali, comitati ecc.
Non sappiamo se la banca centrale cinese, per esempio, abbia letto i giornali che parlano di privatizzazioni e abbia deciso che valesse la pena cominciare a “guardare” Enel e Eni a cui gli Italiani pagano le bollette; non è un brutto mestiere, dopo tutto, quello di riscuotere le bollette soprattutto se l’ottica è quella di medio lungo periodo. Allo stesso modo non sappiamo se ci siano particolari disegni su una delle ricchezze principali dell’Italia che sarebbe il risparmio. Probabilmente è solo “sana” speculazione finanziaria e ottenuto il profitto voluto ci saranno vendite uguali e contrarie a quelle di oggi. Rimane il fatto che l’Italia è economicamente molto debole, politicamente fragilissima e che nemmeno 5 anni di fila di crisi sono riusciti a intaccare le burocrazie pubbliche che bloccano il Paese. Sono le condizioni giuste per fare affari in altri momenti impensabili perché nessuno si sognerebbe di fare scommesse di un certo tipo in certi settori al di là delle Alpi, in Francia o Germania per esempio, o negli Stati Uniti e in Cina; il baluardo del capitalismo inglese ha nazionalizzato negli ultimi anni un paio di banche. Il tema, insomma, è decisamente troppo importante e delicato per non prendere in considerazione tutte le possibilità e per prepararsi a tutte le evenienze per evitare che al posto del governo italiano sia quello cinese a riscuotere le bollette o che i risparmi italiani finiscano tra mille giri a speculare proprio sull’Italia o a finanziare, sempre dopo mille giri, altre imprese in altri Paesi.