Martedì il governo ha reso pubblico il Documento di economia e finanza (Def), che contiene provvedimenti che spaziano dal tetto agli stipendi dei mager pubblici al cuneo fiscale passando per privatizzazioni e rendite finanziarie. Gli argomenti toccati nelle 150 pagine del testo sono evidentemente diversi, ma due in particolare hanno interessato i mercati finanziari: le privatizzazioni e l’aumento dell’imposta sulle plusvalenze delle quote possedute dalle banche in Banca d’Italia. Il Def alla voce privatizzazioni nomina due società quotate, Eni e Stm, e una serie di società non quotate tra cui Sace, Fincantieri, Ccp Reti, Tag e Grandi stazioni oltre ai decreti approvati a gennaio per la cessione del 40% di Poste Italiane e del 49% di Enav. Il governo prevede di incassare con le privatizzazioni lo 0,7% del Pil nel periodo 2014-2017, allo scopo di ridurre il debito pubblico.
I numeri appaiono particolarmente “ostici” e difficili da calare in una realtà “apprezzabile”. Ci proviamo. Il debito pubblico italiano è superiore a 2 mila miliardi di euro, mentre il Pil a circa 1560 miliardi di euro. Fare privatizzazioni per lo 0,7% del Pil significa ridurre lo stock di debito pubblico di circa 10 miliardi di euro o lo 0,5% del totale; inutile dire che questa operazione non determina, praticamente, alcuna riduzione sostanziale del debito pubblico. Non solo, dato che il costo del debito è particolarmente basso e, stante alle informazioni attuali, rimarrà tale per molti altri mesi, i risparmi in termini di minori interessi sono trascurabili.
Nessuno sottolinea, e sembra davvero incredibile, che alcuni degli asset che si vogliono vendere, sicuramente Eni, rendono in termini di dividendi molto più di quanto costa il corrispondente debito; lo Stato si finanzia a un costo che è inferiore ai dividendi percepiti su quella partecipazione. Per usare un esempio, sarebbe come vendere una casa su cui si percepisce un affitto di 10 per estinguere un debito che costa 6. I mercati finanziari attuali non sembrano essere assolutamente preoccupati per il debito presente e lo sono invece molto per la crescita futura. Nessuno si preoccupa del debito gigantesco del Giappone piuttosto che di quello degli Stati Uniti.
Fare le privatizzazioni per “ridurre il debito” non ha senso, è ininfluente per lo stock del debito e forse addirittura controproducente in termini di conto economico. Se si volesse raggiungere una maggiore efficienza industriale o liberalizzazioni si potrebbe aprire una discussione per valutare pro e contro, ma non sembra questo il caso. Rimane sullo sfondo la domanda su quale siano i ritorni in termini di indipendenza energetica e investimenti per l’Italia dell’Eni o, nel caso di Stm, in termini di mantenimento in Italia di stabilimenti e centri di ricerca in un settore all’avanguardia della tecnologia e particolarmente interessante; in Francia nessuno ha mai preso in considerazione la cessione di azioni Stm. Non è chiaro a chi giovino queste privatizzazioni e perchè invece non ci si applichi per ridurre l’enorme spesa improduttiva di una macchina statale e burocratica inefficiente e costosissima.
Il secondo punto è quello relativo all’aumento dell’imposta sulle plusvalenze delle quote possedute dalla banche in Banca d’Italia. Le banche italiane sono, in varia misura, azioniste della banca d’Italia e hanno in carico queste partecipazioni a un valore di molto inferiore a quello “reale”. La rivalutazione delle partecipazioni comporterebbe una plusvalenza e un beneficio in termini di coefficienti patrimoniali; migliori coefficienti patrimoniali siginifica una minore necessità di ridurre i crediti e, in teoria, una maggiore propensione a concedere crediti all’economia. Rimettere in moto il finanziamento alle imprese e alle famiglie è fondamentale per rilanciare l’economia e la crescita.
In questo senso chiedere alle banche di pagare in cassa un quarto di una plusvalenza contabile e figurativa, dato che la cessione di quote della banca d’italia è, per ora, teorica, non sembra molto coerente. Certo, le banche non suscitano grande simpatia e nell’immaginario collettivo stanno sicuramente nello schieramento dei cattivi, ma nella fase attuale bisognerebbe guardare alla sostanza dei fatti e, soprattutto, a quello che può rilanciare o rallentare l’economia. Se si vogliono evitare comportamenti “opportunistici” si dovrebbe pensare a norme sui bonus piuttosto che a vincoli sulla distribuzione dei dividendi, mentre penalizzare il conto economico delle banche potrebbe essere alla fine controproducente.