Ieri la borsa di Milano ha chiuso con un calo dell’1% dopo un pomeriggio in cui l’indice era arrivato a perdere l’1,7% facendo temere una chiusura molto più negativa; il calo, a Milano, dai massimi del 4 aprile è di quasi il 5%. Lo spread Btp-Bund ieri è aumentato di qualche punto base chiudendo a 171 dopo una giornata iniziata a 165. A prima vista non ci sarebbe molto da commentare, anche perchè negli ultimi anni ci si è abituati a performance giornaliere, in un senso o nell’altro, molto più brusche e violente. Eppure rispetto agli ultimi mesi di rialzi continui si registra una piccola battuta d’arresto.

Per spiegare questa, finora, piccola interruzione si possono adottare due possibili interpretazioni. La prima è che sia impensabile che il mercato proceda a colpi di rialzi continui senza interruzioni di sorta; il mercato italiano era salito di più del 15% dall’inizio dell’anno (poco più di tre mesi), mentre, allungando l’orizzonte temporale, la performance era di quasi il 50% da fine giugno. Lo spread è in costante riduzione da settembre 2012 dopo il calo repentino dell’estate dello stesso anno. Si potrebbe quindi tranquillamente concludere che nulla di sostanziale sia cambiato e che ci sia stata un normalissimo, fisiologico e persino auspicabile storno.

In questo quadro lo scenario di fondo non è cambiato ed è quello che ha determinato la performance eccezionale della borsa e del debito sovrano italiano, spingendo allo stesso modo il resto dei paesi periferici fino al ritorno della Grecia sul mercato dei bond. L’economia è a pezzi, la disoccupazione è drammatica, ma la ripresa sta arrivando e le banche centrali non faranno mancare il proprio supporto continuando a immettere liquidità nel sistema. Il mercato azionario sale “per esclusione” dato che tutto il resto rende poco o niente. Le banche centrali sono innanzitutto la Fed con il suo Qe e poi la Bce che garantiva la sopravvivenza dell’euro a ogni costo. L’Europa periferica diventava attraente proprio perchè, in teoria, gli spazi di recupero erano enormi. Lo scollamento tra realtà economica e aspettative del mercato si è allargato a dismisura perchè le performance stellari della borsa hanno molto poco in comune con lo stato dell’economia e del “Paese reale”. A questo scenario si aggiungeva una conclusione politica secondo cui fino alle europee i mercati sarebbero stati fatti rimanere tranquilli, a colpi di dichiarazioni, per evitare un risultato elettorale favorevole a partiti anti-euro ed Europa.

Come dicevamo, negli ultimissimi giorni si è registrato però un certo nervosismo che porta a chiedersi se lo scenario di fondo sia cambiato o stia cambiando. È una domanda non banale perchè in un orizzonte temporale di dodici mesi la variazione dei grafici è assolutamente contenuta. L’economia americana sta migliorando lentamente, la Fed, per ora, continua a immettere liquidità ma nell’orizzonte temporale degli investitori sta lentamente entrando il momento in cui il trend cambierà. Questa settimana si sono avuti numeri migliori delle attese sul mercato del lavoro americano, sulla fiducia dei consumatori, mentre l’inflazione, dati di ieri, ha avuto l’incremento più alto degli ultimi sette mesi. In Europa la ripresa è fragilissima, quasi impercettibile, il numero di disoccupati ha raggiunto livelli record e il debito rimane a livelli elevati.

I mercati potrebbero rimanere tranquilli senza scossoni se arrivasse davvero una ripresa sensibile in tempi brevi o se la Bce sostenesse mercati ed economia con politiche monetarie adeguate, mentre rimangono elementi di debolezza strutturale come l’economia debole o, per esempio, elementi di instabilità geo-politici. La ripresa non c’è e non sembra nemmeno imminente; oggi si può parlare, al limite, solo di fine della discesa. In Europa non si vede neanche l’ombra dell’inflazione e anzi si prendono in considerazione scenari deflattivi. La situazione economica attuale non sembra contenere i presupposti perché si generi autonomamente una ripresa vera che arrivi a toccare le persone e i disoccupati. In altre parole serve che la Bce continui a sostenere l’economia con strumenti adatti e nuovi e che l’Europa cambi completamente marcia rispetto alle politiche di austerity finora adottate.

Dopo il mancato avvio da parte di Draghi settimana scorsa di un “quantitative easing” europeo il mercato comincia seriamente a interrogarsi sull’Europa e le sue prospettive a cominciare dalle zone più deboli e potrebbe anche decidere che le valutazioni attuali di debito e azioni siano irragionevoli. Il governatore della banca centrale tedesca Weidmann ha dichiarato ieri che il rischio di deflazione nell’area euro è molto basso, che la Bce ha dichiarato che reagirebbe a un periodo prolungato di bassa inflazione con politiche monetarie non convenzionali, ma che “al momento non c’è ragione per essere più espansivi” e che eventuali politiche monetarie non convenzionali “dovrebbero rispettare molte condizioni”. Posto che la ripresa non c’è, che il mercato del lavoro è in una situazione tragica e che rimangono forti elementi di debolezza finanziaria, queste non sembrano per niente buone notizie.

Gli investitori capiscono perfettamente lo scenario attuale e la “finzione” in atto sui mercati e sanno che senza Bce i mercati sono molto fragili; non ci vorrà molto prima che decidano di cambiare idea e che è meglio vendere. Ieri Renzi ha dichiarato, a proposito dell’Europa, che le “regole sull’austerità non servono a niente se poi la disoccupazione raddoppia” e che l’Italia proverà a spiegarlo nel semestre europeo. Un trimestre sui mercati è tanto tempo e non si capisce se i tedeschi non si rendano conto della situazione, se pensino che ci sia tempo oppure altro.

La magia dei mercati degli ultimi mesi, dello spread che arriverà a 100, sembra si stia rompendo sempre ammesso che non si sia già rotta. L’unico attore che può intervenire è la Bce e l’Europa con nuove regole, ma, come sempre, alla fine decideranno la Merkel e i tedeschi; dopo le dichiarazioni di Weidmann è lecito nutrire più di una preoccupazione.