Dopo essere stati costretti a “ragionare” sulle performance deboli della borsa italiana degli ultimi giorni, oggi si deve tornare sul luogo del misfatto per commentare il +3,44% di Piazza Affari che spicca tra tutti i listini europei (Francoforte +1,63%, Parigi +1,39%, Euro Stoxx +1,54%). È possibile che alcune scadenze tecniche relative alle opzioni abbiano determinato “un’accentuazione” del rialzo della borsa italiana, ma il dato rimane comunque significativo, anche perchè arriva dopo una chiusura molto positiva della borsa giapponese di martedì e un andamento positivo di quelle americane ieri. Interpretare la giornata di ieri non è un esercizio immediato, perché non ci sono state dichiarazioni di particolare rilevanza o novità di politica monetaria da parte delle banche centrali.
Le ipotesi che sono circolate per spiegare la performance dei mercati azionari hanno messo in relazione i rialzi con nuove politiche di stimolo monetario da parte delle banche centrali. Timori di una crescita inferiore alle attese in Giappone e dati sulla crescita cinese peggiori delle previsioni hanno convinto i mercati che le azioni delle banche centrali a supporto dell’economia e dei mercati possano continuare e magari, come nel caso della Cina, incrementarsi.
In serata, dopo la chiusura dei mercati in Europa, il neo-governatore della Fed, Yellen, in un discorso tenuto all’Economic Club di New York, ha ribadito “l’impegno della Fed a supportare la ripresa”. All’appello, come noto, manca la Bce di Mario Draghi con l’economia europea molto più in affanno di quanto lascino pensare i mercati delle ultime settimane e con l’euro che si è rafforzato contro il dollaro. Il Financial Times nel weekend scriveva che la Bce stava valutando nuove misure di politica monetaria. Ieri dati sull’inflazione ai minimi nell’area euro (a marzo +0,5% contro il +0,7% del mese precedente) hanno consegnato uno scenario di deflazione e alimentato speranze che di fronte a questi numeri la Bce possa davvero decidere di imprimere una svolta per sostenere l’economia dell’area euro.
Dopo diversi mesi i mercati sono tornati a muoversi sulla base delle aspettative delle azioni delle banche centrali. La crescita dell’economia, i dati sulle imprese non sono sufficienti per sostenere questi mercati e queste valutazioni, mentre shock finanziari potrebbero essere molto pericolosi per una ripresa ancora fragile. I dati economici europei però sono sensibilmente peggiori di quelli americani; la ripresa in Europa è, sicuramente in Italia, una novità di qualche settimana che si riduce a impercettibili miglioramenti; questi miglioramenti contenuti e recentissimi non cambiano una situazione che è ancora molto peggiore di quella pre-crisi.
In ampie zone dell’Europa la situazione economica e finanziaria è ancora estremamente fragile e non si è neanche lontanamente avviato un processo di crescita sensibile e duratura. I mercati capiscono perfettamente queste variabili e, giustamente, considerano l’azione delle banche centrali e l’allentamento delle politiche di austerity un fattore decisivo e necessario senza il quale non ci sono riforme che tengano.
La confusa situazione in Ucraina, ieri palesemente ignorata dai mercati, paradossalmente aumenta le probabilità, soprattutto in Europa, di un diverso approccio della banche centrali. Le speranze dei mercati che si manifestano a colpi di rialzi rimangono tali fino a che non si arriverà ad annunci e azioni reali. Quello che scrivono i quotidiani finanziari a Londra rimane un auspicio fino a che non si passa ai fatti che però vengono decisi a Francoforte; non sembra che, a questo proposito, si possano avere certezze, perché questo scenario di bassissima inflazione non sembra preoccupare particolarmente in Germania.
Il rischio di “perdere un decennio” evitando di fare le riforme necessarie di cui l’ex membro del board della Bce scriveva sul Financial Times lunedì rimane però un argomento di attualità; l’azione della Bce è necessaria ma non sufficiente e le riforme servono davvero. L’attualità è nel caso italiano strettissima se si ipotizzava di legare il canone Rai alla bolletta elettrica per obbligare tutti a pagare per una società televisiva che ha certamente “amplissimi margini” di efficientamento, senza considerare che non si capisce davvero da dove scaturisca l’obbligo di pagare per questo servizio.
È vero che le politiche di austerity sono state un suicidio ed è vero che la Bce dovrebbe sostenere l’economia, ma è impensabile e controproducente, anche come immagine, pensare di ritornare al punto di partenza, prima della crisi, facendo le stesse cose e gli stessi errori; tutto questo senza considerare le possibili reazioni all’estero di fronte a un Paese con la disoccupazione a più del 10% e una pressione fiscale esagerata che decide di obbligare tutti a pagare per la televisione di Stato più di 100 euro all’anno senza che nemmeno ci si possa vedere una partita di calcio.