L’amministratore delegato di Alstom ha incontrato il presidente del consiglio francese Hollande e il ministro dell’Economia Montebourg per discutere dell’offerta da 10 miliardi di euro di General Electric sulle attività nel settore energia della società francese. Il ministro ha fatto pressione sull’autorità di controllo della borsa francese perchè Alstom aspettasse un mese negoziando anche con Siemens un’eventuale operazione straordinaria, e alternativa a quella di GE, tra i due gruppi in cui quello francese avrebbe ceduto le attività nel campo dell’energia a quello tedesco in cambio di quelle nei trasporti per creare due colossi europei: Siemens nel settore delle turbine e Alstom in quello dei treni.
Il ministro dell’Economia ha espresso chiaramente il proprio favore verso un’operazione con Siemens. E pochi giorni fa aveva dichiarato che era inaccettabile che un gioiello nazionale che produce turbine e treni ad alta velocità fosse venduto “dietro le spalle dei lavoratori, del governo, della maggior parte del board e dei manager”. Nel tentativo di fermare la cessione della divisione di Alstom a GE ha evocato a più riprese il successo di Airbus per ricordare come un’operazione di sistema tra paesi possa dare ottimi frutti. Si è parlato persino di nazionalizzazione di Alstom o dell’acquisto da parte del governo francese del pacchetto di maggioranza detenuto da Bouygues in Alstom per fermare eventuale operazioni non considerate allineate all’interesse nazionale.
In tutto questo occorre evidenziare che lo Stato francese non detiene una singola azione di Alstom. Un’operazione perfettamente legittima, fatta tra società private è stata per ora bloccata a causa dell’opposizione del governo francese che vuole tutelare l’occupazione e preservare un patrimonio di conoscenze. L’azione del governo avviene mentre la stampa finanziaria internazionale, il Financial Times e il Wall Street Journal, mettono alla berlina l’amministrazione francese rea di non lasciar decidere gli azionisti e di rischiare di far fallire un’operazione che sembra garantire più ritorni economici delle altre.
Non è chiaro come la vicenda si concluderà, se l’offerta di GE andrà in porto oppure se, come nei casi di Enel-Suez o Pepsi-Danone, per citare i più eclatanti, l’interesse del sistema Paese prevarrà. Al momento si può solo registrare una formidabile opposizione del governo francese contro la cessione, una discesa in campo decisa e molto determinata. Di solito, quando si mette di traverso, l’esecutivo di Parigi ottiene quello che vuole. L’affare si porta dietro altre considerazioni, come quelle relative all’Antitrust europeo, che di certo avrebbe molto da dire su un’operazione di scambio di attività con Siemens.
La difesa di un’industria nazionale, il tentativo di preservare l’occupazione e il presidio in settori all’avanguardia tecnologica e promettenti è evidentemente una preoccupazione comune per molti governi. “Pilotare” e tessere trame per fare in modo che esiti più favorevoli all’economia nazionale si verifichino non è uno scandalo in moltissimi paesi e anche per la seconda economia dell’area euro. Da questo punto di vista negli ultimi anni in Italia si sono verificate operazioni che probabilmente in Francia non sarebbero mai avvenute: Lactalis su Parmalat, Edison a Edf, piuttosto che nel settore bancario, in quello del lusso e così via. Non si può ovviamente difendere “l’italianità” a prescindere dai risultati economici o quando la competizione richiede dimensioni maggiori continuando a opporsi a qualsiasi cambiamento fino a rendere le società completamente inadatte a competere.
Il tema non è mai stato banale, ma oggi lo è forse ancora meno. A causa della crisi che riduce i margini e impone una migliore gestione degli investimenti e alla liquidità abbondante si sta assistendo a un’ondata di fusioni e aggregazioni sovranazionali in molti settori. Le società che rimangono piccole sono probabilmente destinate a uscire dallo scenario competitivo nel medio periodo. “Fare sistema” o “difendere gli interessi del Paese” non significa opporsi a qualsiasi novità e sacrificio, ma evitare di cedere completamente il controllo delle imprese nei settori all’avanguardia, magari a favore di chi vuole i brevetti e poi chiude e sposta gli stabilimenti, dando vita a società in grado di competere e che possano contemporaneamente avere ricadute occupazionali nei confini nazionali. Le fusioni possono tradursi in esiti molto diversi se le società coinvolte sono soggetti del nuovo gruppo oppure oggetti di strategie altrui.
Il tema è particolarmente critico nella fase attuale, dove giustificare l’occupazione in settori a poco valore aggiunto diventa sempre più difficile data la competizione sul costo di altri paesi e dove l’indipendenza di un Paese non si limita, nella sostanza, al diritto di voto dei cittadini. Finmeccanica, con Ansaldo Sts e Ansaldo Breda, Eni e Saipem, Stm e molte altre società finite sui giornali negli ultimi mesi sono certamente chiamate in causa dalla vicenda Alstom. I metodi del governo italiano possono essere anche molto diversi da quello francese, ma le preoccupazioni e l’urgenza dovrebbero essere le stesse.