Il titolo Fiat ha “festeggiato” ieri la presentazione del nuovo piano industriale con un calo di quasi il 12%, ai minimi di giornata dopo essere stato in forte ribasso fin dall’apertura. Se le performance di borsa sono il metro con cui si giudica la bontà di un piano industriale dovremmo parlare di bocciatura senza appello, ma la realtà è, fortunatamente, molto più complessa. I mercati finanziari ragionano con logiche particolari che bisogna interpretare per capire i motivi di cali o rialzi. Nella vicenda Fiat bisogna ancora più del normale essere in grado di separare finanza da industria, strategie competitive e rapporto con investitori e mercato. Come sempre, si deve fare un po’ di cronistoria e di riassunto delle ultime puntate, altrimenti si perde completamente il filo e si riconduce tutto a un cambio di umore irrazionale dei mercati.
Bisogna sottolineare almeno due punti. Il primo e più banale è che il titolo Fiat negli ultimi mesi e settimane aveva fatto molto bene; dal giorno dell’annuncio dell’acquisizione del 100% di Chrysler (a inizio 2014) il titolo era salito di oltre il 50%. Il rialzo ha scontato i benefici finanziari e industriali derivanti dalla fusione con Chrysler, le ottime performance di vendite sul mercato americano e i primi successi del riposizionamento sul mercato premium testimoniati dagli ottimi dati di Maserati. Gli investitori si erano “portati avanti” nell’incorporare miglioramenti economici e di quote di mercato. Il secondo punto è che negli ultimi anni Fiat, dal punto di vista dei mercati, non è stata innanzitutto o solamente una storia “industriale” di vendite e margini in miglioramento. Fiat agli occhi degli investitori è stata anche la storia di creazione di valore finanziario della scissione tra Fiat e Fiat Industrial/Cnh, la storia delle opzioni per salire nel capitale di Chrysler con le relative trattative per una fusione che insieme ad aspetti industriali aveva anche tanti aspetti finanziari e di mercato e, infine, la storia della quotazione a New York, una piazza che garantisce multipli e visibilità migliori.
In quest’ottica il piano industriale di martedì ha segnato un punto di rottura. La parte “finanziaria” e di “mercato” di Fiat è diventata meno importante: lo spin-off è storia vecchia, la fusione completata da mesi e la quotazione a New York annunciata. Fiat ha presentato un piano aggressivo nei target con vendite e reddito operativo in aumento rispettivamente dell’8,5% e del 20% all’anno fino al 2018; tassi di crescita superiori a quelli del mercato. La nuova strategia è rappresentata dal target di vendite di auto a marchio Alfa Romeo che Fiat vuole aumentare del 440% al 2018. Il punto chiave del piano industriale agli occhi degli investitori sono i 5 miliardi di euro di investimenti in tre anni annunciati su Alfa. Per rilanciare il marchio e renderlo in grado di competere in un segmento sfidante questo è evidentemente lo sforzo richiesto.
Nessuno è in grado di dire se Fiat avrà successo o no, se le macchine saranno belle o meno e, soprattutto, se piaceranno ai clienti più delle rivali tedesche. Nessuno lo può sapere e neanche gli investitori, che però per il momento registrano uno sforzo finanziario ingente. Il profilo di rischio finanziario di Fiat è cambiato radicalmente e spendere 5 miliardi è un elemento di incertezza in quanto tale. È chiaro che insieme ai rischi ci sono anche le opportunità, ma è altrettanto evidente che quando si fanno i conti si confrontano spese certe con ricavi incerti e con modelli che al momento nessuno ha ancora visto e che saranno pronti non prima della fine del 2015, con la maggior parte dei lanci prevista tra il 2016 e il 2018. Questo sforzo indebolisce finanziariamente Fiat e, nel breve periodo, la mette, in un certo senso, in una situazione di incertezza; se ci fosse un’altra crisi non ci sarebbero i clienti desiderati per i nuovi modelli, anche se fossero eccezionali però rimarrebbero “5 miliardi in meno”.
La scommessa su Fiat è oggi una scommessa sull’abilità del gruppo guidato da Marchionne di riuscire in un compito che è stato rimandato per anni e anni. Il rilancio di Alfa e la volontà di competere sul segmento premium spostano la storia azionaria da un piano finanziario a uno industriale; si ritornerà a parlare di auto più di “corporate action”. La sfida è fare auto più belle dei concorrenti a prezzi comparabili in un segmento dove tutta l’industria auto vuole entrare e dove i tedeschi hanno ottenuto risultati eccezionali.
Ieri il mercato, come prevedibile, è stato scettico dopo tanti rimandi e consapevole della portata della sfida. Fiat è tornata una società auto “normale”, che si misura sulla bontà delle macchine e sulle vendite. Chi, tra gli investitori, non ha venduto spera “solamente”, esattamente come gli operai negli stabilimenti, che le macchine siano belle e vendano. Quanto belle? Belle abbastanza per far concorrenza ad Audi e Bmw.