A maggio la raccolta netta dell’industria del risparmio gestito italiana è stata positiva per 7,1 miliardi di euro; da inizio anno è cresciuta di quasi 44 miliardi. Nonostante crisi, disoccupazione record e calo del Pil, l’Italia rimane un mercato eccellente per la raccolta del risparmio e nei mesi più bui della crisi l’aumento dei depositi bancari ha toccato incrementi di quasi due cifre. Il dato è stato giustamente ripreso anche perchè arriva dopo diversi mesi positivi che dipingono uno scenario “strutturale”.

L’andamento è certamente frutto del particolare contesto dei mercati finanziari; il rendimento dei bond e dei conti correnti è ai minimi, a meno che si vogliano correre rischi notevoli, i mercati obbligazionari e azionari hanno invece avuto un rendimento molto positivo che ha rappresentato un forte incentivo a spostare masse sul risparmio gestito per ottenere un rendimento apprezzabile. Questa è, per sommissimi capi, la cronaca di quanto è successo e sta avvenendo e delle sue ragioni contingenti. Le analisi di solito finiscono a questo punto, ai proclami nel caso di dati positivi o ai lamenti quando le cose vanno male.

Mancano invece dalle analisi le domande sulle potenzialità di questo settore. La borsa italiana è proprietà del London stock exchange, l’Italia ha deciso di autopenalizzarsi nei confronti della competizione introducendo una tassa, la Tobin tax, dai dubbi benefici fiscali e dalla sicura penalizzazione nei confronti degli altri mercati europei (Londra non ci ha pensato neanche per sbaglio). L’industria del risparmio nostrana compete, dal punto di vista fiscale, con piazze decisamente più “valorizzate” dai rispettivi governi in alcuni casi raggiungibili comodamente in macchina. In generale la piazza di Milano è di molto indietro rispetto a Parigi e Francoforte e persino a Madrid. I soldi degli italiani vengono gestiti in Svizzera e in Gran Bretagna piuttosto che in Francia molto più di quanto accada al contrario. Le commissioni generate dalle gestioni pagano affitti, servizi e stipendi, ma non si tratta solo di salari pagati ogni 27 del mese.

Si tratta anche di propensione a investire sulle società italiane, per esempio sottoscrivendo aumenti di capitale, o di scelte di investimento nelle obbligazioni statali che possono essere comprate o vendute allo scoperto. Le giornate del “Btp Italia” testimoniano che risparmi “non ostili” possono contribuire positivamente ai destini economici e finanziari di un Paese. Gli investimenti esteri, sulla borsa italiana non sono ovviamente un problema, ma è chiaro che nei giorni dello spread a 550 e dell’Italia fallita era più difficile convincere un inglese o un americano delle prospettive economiche nazionali piuttosto che un veneto o un campano.

Allo stesso modo in cui ci si dovrebbe chiedere se le regole, fiscali e non, in Italia permettono a una società industriale di produrre in modo competitivo in Italia, occorrerebbe chiedersi anche se le regole attuali permettono a una società finanziaria di competere efficacemente da questo lato delle Alpi. La “marginalizzazione” della piazza di Milano, intesa come principale centro finanziario italiano, è un fatto che ha probabilmente ecceduto il declino economico del Paese. I dati sul risparmio riflettono non solo l’andamento economico attuale ma anche lo stock accumulato in decenni di crescita economica e risparmi, nel secondo caso superiori a quelli di molte altre economie di prima fascia.

I dati di maggio, oltre ai proclami, dovrebbero sollevare qualche dubbio sulla performance dell’Italia in questo settore. Per rendersene conto basta dare un’occhiata alla pagina del Financial Times con le quotazioni dei fondi. L’Italia non è praticamente nemmeno sulla mappa; un po’ troppo anche considerando i recenti risultati economici. Il dibattito si può certamente concentrare, e fermare, sui bonus dei “banker” o su quanto sia malvagia e corrotta la finanza mentre il resto del mondo ci paga stipendi e considera i risparmi strategici per l’indipendenza e il successo economico di un Paese.

Con la mole e la propensione al risparmio in Italia si potrebbe sicuramente fare molto di più, ma, al momento, non sembra ci siano nemmeno le condizioni minime per una riflessione.