Oggi, in una riunione che occupa da diversi giorni e settimane gran parte dell’attenzione degli investitori, il governatore della Bce Mario Draghi comunicherà quali azioni intende mettere in atto in risposta a un’inflazione europea molto al di sotto del target del 2% della banca centrale. L’attesa tra gli investitori è massima per tante ragioni. La crescita in buona parte d’Europa è bassissima se non esistente, come in Italia nel primo trimestre, al punto che molte delle speranze su una ripresa in Europa cominciano a scontrarsi con una realtà molto diversa, mentre le finanze pubbliche di molti paesi del sud Europa, tra cui ancora l’Italia, non mostrano segnali di inversione e non rientranto nei target di deficit fissati in sede europea.

Nonostante dati economici molto peggiori delle attese e delle speranze e dati sul mercato del lavoro tragici, i rendimenti dei titoli di stato dei paesi periferici sono rimasti compressi e lo Stato italiano ha piazzato il proprio debito a tassi decrescenti e sempre più bassi senza alcun problema. La distanza tra mercati finanziari e andamento dell’economia reale è da attribuire all’azione delle banche centrali e in Europa alla Bce di Mario Draghi che due anni fa con il suo “siamo pronti a tutto per salvare l’euro” (“whatever it takes” nell’originale) è riuscito a mettere un freno alla crisi nell’eurozona.

Da quel momento la crisi dei debiti sovrani è rientrata, ma due anni non sono bastati per riportare sulla strada della crescita buona parte d’Europa. Il caso italiano, come dicevamo, è emblematico: lo spread si è più che dimezzato, ma il Pil è ancora in negativo, dopo una crisi che dura ininterrotta da quasi sette anni e che ha avuto effetti devastanti in termini di perdita di posti di lavoro e chiusura di imprese. Lo spread è sceso così come il costo del finanziamento, ma il debito lordo in rapporto al Pil non è migliorato sostanziamente a causa di un andamento economico molto negativo.

Ciò che separa la situazione attuale da una nuova crisi finanziaria in Europa è, al momento, solo la Bce; se il mercato guardasse i “fondamentali” economici lo spread non sarebbe dove è ora. Non solo in due anni non si è usciti dalla crisi, ma all’orizzonte non si vede niente che assomigli anche solo vagamente a una vera ripresa mentre si sta scivolando verso uno scenario di deflazione. Per questo Draghi “è costretto” non solo a continuare con le politiche espansive ma a fare qualcosa di più.

Il mercato, ovviamente, comprende benissimo questo particolare momento e questa volta da Draghi si attende come minimo un taglio dei tassi e molto probabilmente anche qualcosa di più, magari in termini di finanziamento alle piccole e medie imprese. Date queste attese il rischio di una delusione con conseguente performance negativa dei mercati è concreto se Draghi si limitasse a interventi “convenzionali” senza introdurre nuovi elementi.

Non sfugge però che il proseguimento e l’allargamento dell’azione della Bce per quanto necessari non possono da soli cambiare la situazione. Sono sicuramente necessari per creare le condizioni senza le quali sarebbe impossibile avviare un meccanismo virtuoso, ma questo non può bastare se l’amministrazione pubblica e la burocrazia rimangono costosissime e inefficienti, se le imprese muoiono per una tassazione assurdamente alta o per inchieste giudiziarie infinitamente lunghe e costose, se il mercato del lavoro rimane ingessato con, ancora oggi, super privilegiati immuni a qualsiasi tipo di riforma o se, per tanti motivi, le imprese non investono mentre asset strategici e le migliori società italiane vengono vendute o svendute. In tutto questo occorre anche la rimodulazione dei target di rientro dal deficit in sede europea che attualmente non lasciano quasi alcuno spazio di manovra e che hanno determinato un inasprimento della crisi sensibile.

Qualsiasi cosa farà oggi Draghi non basterà, da sola, per risolvere il problema della crescita in Italia; potrà bastare per i mercati finanziari, per evitare crolli e prolungare il rally, ma non per far diminuire in maniera sostanziale il tasso di disoccupazione. Per quello servono riforme che oggi sembrano ancora impossibili (persino quella della Rai), tanto lavoro e nuovi investimenti. L’Italia ha già sprecato due anni e non può permettersi di continuare a sprecare, tanto più se oggi arriverà un nuovo assist anche perchè altre economie e altri paesi stanno invece sfruttando questo periodo favorevole guadagnando punti di competitivà su un’Italia completamente immobile e impermeabile a qualsiasi cambiamento, inclusi quelli più ovvi e banali.