Ieri Whirlpool ha annunciato l’acquisto del 60,4% di Indesit dalla famiglia Merloni a un prezzo di 11 euro per azione per un esborso totale di 758 milioni di euro. Successivamente Whirlpool lancerà un’Opa sulle rimanenti azioni di Indesit allo stesso prezzo offerto alla famiglia Merloni. Con ogni probabilità il titolo verrà alla fine delistato. La notizia non è in realtà una grande novità per il mercato e gli investitori perché già a novembre 2013, otto mesi fa, Indesit aveva dichiarato in un comunicato stampa che l’azionista di controllo Fineldo aveva dato “mandato ad un advisor per una review strategica delle possibili alternative che riguardano l’investimento in Indesit”.

Era da mesi che si attendeva, in pratica, solo di conoscere il nome del compratore e i dettagli dell’operazione, ma sull’esito finale, cioè il passaggio di mano a un nuovo azionista, non c’erano molti dubbi. Oltre tutto i rumour da mesi concordavano sia sul compratore finale, poi rivelatosi esatto, sia sul timing dell’operazione. Stupisce quindi il clamore che ha suscitato una notizia/non notizia ormai completamente scontata dal mercato.

Le ragioni strategiche dell’operazione sono relative al raggiungimento di economie di scale per competere meglio in un contesto economico e finanziario sfidante. Nonostante Indesit fosse il secondo maggior produttore di “white goods” in Europa (e il nono al mondo), ha sofferto per un calo delle vendite, eccesso di capacità produttiva e una crescente pressione sui prezzi sul mercato europeo. La società ha sofferto per una presenza geografica, l’Europa, dove è completamente mancata la crescita e dove la competizione, per esempio dalla Turchia, sui prezzi si è fatta sempre più difficile da fronteggiare. È in questo scenario che l’ipotesi di un’aggregazione si è resa necessaria per continuare a competere.

Whirlpool ha già una presenza importante in Europa e per questo le sovrapposizioni e quindi le sinergie sono particolarmente significative. L’ad di Fineldo ha dichiarato che “l’accordo ha l’obiettivo di dotare Indesit di tutti gli strumenti per costruire un futuro solido e sostenibile”, ma sinceramente l’operazione deve forse essere guardata secondo un’altra ottica. L’ottica probabilmente più giusta è quella di un compratore che ha ricavi cinque volte superiori a quelli di Indesit e che nel suo comunicato stampa parla chiaramente di efficienze e di un migliore utilizzo degli asset.

Escludendo che la scommessa di Whirlpool sia sulla crescita europea è del tutto ragionevole sostenere che sia piuttosto sul miglioramento dei costi, sulla razionalizzazione delle strutture e sull’eliminazione dei duplicati. Concetti che non dovrebbero essere particolarmente tranquillizzanti per chiunque fosse preoccupato del mantenimento della base produttiva e di tutto quello che ne discende, occupati compresi, in Italia.

Nessuno ovviamente contesta il diritto di cessione e nemmeno l’opportunità o necessità di raggiungere una dimensione maggiore attraverso un’aggregazione per continuare a competere, ma è chiaro che questa operazione sposta completamente il centro decisionale dall’altra parte dell’oceano dove è molto difficile che arrivino eventuali rimostranze per il taglio dei costi e dove le decisioni verranno, legittimamente, prese sulla base della massimizzazione del valore e della posizione competitiva.

Fatte le debite proporzioni, l’enorme polverone sollevato in Francia per l’offerta di General Electric su Alstom segnala che la preoccupazione dei governi per il mantenimento e la salvaguardia di investimenti e occupazione è massima. È chiaro che da un certo punto di vista, un mero confronto sui costi renderebbe completamente fuori mercato una grande parte dell’attuale produzione in Italia. Il fatto dovrebbe quindi far sollevare due questioni.

La prima è relativa alla possibilità che ci fossero altre operazioni che avrebbero consentito di raggiungere una scala maggiore mantenendo in parte il centro decisionale in Italia. Le fusioni vanno benissimo e il nanismo è un male, ma è evidente che un sistema Paese che perdesse completamente il controllo in ogni settore andrebbe incontro a un impoverimento industriale, tecnologico e economico terribile. La seconda riguarda invece le condizioni in cui le imprese operano in Italia. Una tassazione elevatissima e bizantina, una legislazione sul lavoro rigidissima e in cui è impossibile premiare chi merita non costituiscono le condizioni migliori in cui competere.

Se non si affrontano questi temi Indesit sarà solo un’altra puntata di una lunghissima serie fatta di imprese estere che fanno man bassa di competenze per metterle al servizio di interessi, legittimi, altrui in cui si rischia che ci sia ben poco posto per i nostri.