Dopo quasi cinque ore di mercato aperto Fiat ha smentito il rumour uscito in mattinata di una possibile cessione del gruppo a Volkswagen con un comunicato di una riga e mezza: “Fiat dichiara di non aver intrattenuto discussioni con Volkswagen in merito ad una possibile fusione”.
L’ipotesi avanzata dal sito tedesco “www.manager-magazin.de” aveva spinto il titolo a guadagnare quasi il 5% prima che la smentita sgonfiasse la performance fino a una chiusura a +1.38% su un mercato però in netto ribasso (-2.2%); il mercato non ha bollato, certamente prima della smentita, l’articolo come privo di fondamento. L’articolo sosteneva in particolar modo due punti: gli Agnelli si vogliono concentrare su Ferrari e vogliono uscire dal settore automobilistico, Volksvagen che ha già espresso più volte il proprio interesse per Alfa Romeo con l’acquisizione di Chrysler risolverebbe i problemi nel mercato americano. Per capire la reazione degli investitori di ieri si deve analizzare punto per punto il contenuto dell’articolo.
È vero che gli Agnelli hanno già provato a uscire dal settore auto. General Motors all’inizio del 2000 acquistava il 20% di Fiat auto mentre agli Agnelli veniva concesso un diritto di opzione per la vendita del restante 80%. La volontà di uscire dal business dell’auto è vecchia di quasi quindici anni. A interrompere il progetto è stato da un lato il pessimo andamento della società che ha fatto desistere gli americani e poi l’arrivo di Marchione con il successo dell’acquisizione di Chrysler. Nonostante il successo dell’ultima acquisizione il risultati del gruppo non sono eccezionali e sono sicuramente inferiori, sia in termini finanziari che di prodotto, rispetto a quelli dei principali competitors (tra cui per esempio Volkswagen).
Che Fiat abbia un problema strategico e di posizionamento non è un’ipotesi e infatti l’ultimo piano industriale prevede un considerevole sforzo finanziario per rilanciare il gruppo nell’alto di gamma come mezzo per svincolarsi da un mercato altrimenti molto povero di margini e rischioso per la competizione. La strategia è molto rischiosa perché i modelli devono riuscire e ci deve contemporaneamente essere un mercato ricettivo e in ripresa. In caso di fallimento rimangono invece solo tanti debiti. L’ipotesi che gli Agnelli vedano con timore questa strategia potrebbe essere assolutamente realistica.
Del tutto diverso è il caso di Ferrari, marchio di lusso riconosciuto in tutto il mondo, dove vendite e risultati sono al riparo dalla competizione e dove i margini sono molto più alti. Si tratta sempre di auto ma le logiche competitive sono completamente diverse. Lo spin-off di Ferrari viene già dato per molto probabile sul mercato e farebbe emergere, esattamente come nel caso di Fiat Industrial, molto valore “finanziario”. Uno scenario molto appetibile per chiunque fosse venditore.
È altrettanto vero che Volkswagen abbia manifestato il proprio interesse per Alfa romeo. All’inizio del 2011 l’attuale ceo di Volkswagen dichiarava che il suo gruppo aveva mezzi e competenze per quadruplicare le vendite di Alfa in cinque anni; riguardo l’acquisto del marchio Piech sosteneva che Alfa era il marchio con il maggior potenziale di crescita e che Volkswagen aveva tempo e pazienza. In questi anni il marchio Alfa è rimasto quasi completamente fermo in termini di nuovi modelli. È anche vero che Volkswagen abbia dei problemi sul mercato nordamericano sia in termini di modelli che di rete commerciale e che invece Fiat, grazie a Chrysler, abbia invece una presenza consolidata.
Date queste premesse si comprendono i motivi che hanno spinto il mercato a guardare con molto interesse all’ipotesi. Dall’ipotesi alla realtà il passo non è breve ma da un certo punto di vista è più “l’enormità” dell’ipotesi che la sua possibile ragionevolezza a far sembrare incredibile questo scenario. Si può anche pensare che la cessione a Volkswagen sia una sorta di rete di sicurezza nel caso gli investimenti per rilanciarsi sul lato di gamma non avessero successo. In ogni caso il primo step sarebbe lo spin-off di Ferrari. La strategia di Fiat difficilmente però potrà avere successo se venisse intrapresa con titubanza; non si può investire a metà o solo fino a un certo punto.
Infine in un contesto in cui una storica società industriale italiana, Indesit, passa di mano senza che nessuno, politici o imprenditori, dica niente mettendo a repentaglio un intero distretto (ma al ceo di Whirpool piace l’Italia e ha persino una casa in Toscana) e in cui persino la principale concessionaria italiana nelle scommesse decide di portare la sede legale in Inghilterra e di abbandonare il già derelitto listino di Milano senza che, di nuovo, nessuno esprima nemmeno una perplessità anche la cessione di Fiat sembra possibile. Da anni storiche aziende italiane passano di mano creando enormi fortune finanziarie per poche famiglie senza che nessuno si preoccupi davvero del fenomeno. La realtà è che tantissimi stanno scappando a gambe levate dall’Italia e per chi rimane c’è solo un martirio burocratico e fiscale senza fine dove le cartelle della rai raggiungono chiunque abbia un pc. La cessione di Fiat a Volkswagen sembra incredibile ma non lo è assolutamente. Quello che è incredibile è che nessuno si accorga di quello che sta accadendo; forse si fa finta di non vedere sperando che tutto possa continuare come prima dal settore pubblico in giù ma dopo ogni azienda fallita o venduta (con relativa rilocazione), dopo ogni crisi con relative nuove tasse i conti alla fine arrivano. Tranne per chi ha venduto ovviamente.