La grande “novità” di ieri, la notizia da prima pagina e da apertura del TG è che la borsa di Milano si è disintegrata perché il dato sul Pil del secondo trimestre è calato dello 0,2% contro attese di una crescita dello 0,1%. Siamo “tecnicamente” ancora in recessione, come certificato dall’Istat, non ne avevamo idea e l’abbiamo scoperto ieri. Solo chi stava dall’altra parte dell’oceano e calava in Italia per cavalcare la ripresa del sud Europa, probabilmente non essendo nemmeno in grande di distinguere sulla cartina dell’Italia Palermo da Milano, poteva credere che nel nostro Paese le cose stessero migliorando.
La finzione ha fatto comodo a tanti: agli investitori che hanno fatto finta di crederci e alla fine si sono portati a casa una gran bella performance, al governo che ha piazzato debito a tassi bassissimi e a un apparato pubblico e burocratico, fallito, in cui negli ultimi dieci anni, mentre il resto del Paese veniva messo in ginocchio, non si è tagliato non solo neanche un posto ma perfino nemmeno un singolo stipendio; nemmeno nelle amministrazioni in stato fallimentare e mentre la burocrazia raggiungeva livelli persecutori nei confronti di chiunque provasse a fare qualcosa.
Ma non c’è solo questo. La giornata di ieri non arriva “all’improvviso”. Le avvisaglie si erano avute eccome e non le ha viste solo chi non ha voluto vederle. Nella seconda settimana di luglio i primi segnali di nervosismo sui mercati finanziari si erano tradotti in una sorta di mini-liquefazione; il mercato italiano, prima e più di tutti gli altri, si era sostanzialmente squagliato a colpi di -2% e -3%. Poi la situazione si è raddrizzata e si è tirato avanti come nulla fosse successo per altre tre settimane. Per chi aveva voluto vedere le cose erano già chiare. Il mercato italiano è salito sulla base di una scommessa su una ripresa che non c’era, non c’è e di cui non ci sono le premesse in un contesto di euforia generale generata dalle politiche espansive delle banche centrali. Le politiche espansive, però, non solo non sono più un dato scontato ma rischiano di finire a causa della ripresa, soprattutto negli Stati Uniti, che in Italia però non si vede. Il nostro Paese quindi si trova con un’economia in grandissima difficoltà in uno scenario di rialzo dei tassi.
In uno scenario di questo tipo “il mercato” italiano è il primo che si vende sia perché la distanza tra realtà e immaginazione, performance azionaria stellare ma fondamentali economici pessimi, è massima, sia perché si materializza la possibilità di un avvitamento di cui si può immaginare l’inizio ma di cui non si conosce la fine. Inutile dire che alla voce riforme l’Italia non può offrire niente per ottenere un po’ di benevolenza e per invogliare gli investitori a scommettere su un futuro che non c’è.
La scommessa è funzionale a generare un “circolo virtuoso” che possa generare la crescita. In questo senso devono essere apparse grottesche agli investitori stranieri le prime pagine dei quotidiani on line di ieri che appena sotto la cronaca di una giornata nera per i mercati e la rappresentazione impietosa del tracollo economico italiano degli ultimi 10 anni davano conto dell’ultimo incontro politico per la riforma elettorale. A questo riguardo il fatto più preoccupante è che nonostante tutto non si percepisca alcun senso di urgenza per ridimensionare un apparato pubblico il cui fallimento è conclamato e per la cui sopravvivenza si è deciso di immolare decine di migliaia di imprese e milioni di posti di lavoro. L’elenco sarebbe molto lungo dalle amministrazioni locali fallite che hanno continuato ad assumere passando per un sistema giudiziario che farebbe scappare anche il migliore degli imprenditori italiani e non.
L’altro grande tema è quella relativo all’Europa. È chiaro che un’altra stretta fiscale su consumatori e imprese darebbe con ogni probabilità la mazzata finale a un sistema che finora ha comunque retto. In questo senso, dato il circolo vizioso in atto e la profonda recessione economica, servirebbe sicuramente una diversa politica europea perché, in questa situazione, è difficile immaginare una qualsiasi ripresa senza una sorta di “shock” all’economia. Anche ieri con la risposta del portavoce del governo tedesco alle richieste di Hollande si è capito che per ora alla Germania questa situazione va benissimo. Una cosa però è certa: quello che non ha fatto l’Italia negli ultimi 5 anni in termini di riforme è un pessimo elemento negoziale nella trattativa per ottenere un aiuto a livello europeo.
Se fossimo tedeschi, lavorassimo e pagassimo le tasse in Germania ci fideremmo dello Stato italiano? Dei suoi contributi a fondo perso e senza alcuna garanzia di riforma alle amministrazioni fallite? Delle sue norme e regole e mille autorithy e gradi di giudizio che impediscono qualsiasi investimento?