I destini di Tim Brasil, vera saga finanziaria dell’estate italiana 2014, hanno regalato martedì sera ancora brividi al mercato: a cinque minuti dalla chiusura delle contrattazioni, il rumor di una possibile acquisizione della brasiliana Oi Group da parte della stessa Tim Brasil ha spedito il titolo Telecom a -2% nel giro di qualche minuto e quello di Oi a +13%. Dopo la conquista di Gvt da parte di Telefonica, che a fine agosto aveva battuto l’offerta di Telecom, l’ex monopolista italiano è stato costretto a ripensare la propria strategia sul mercato brasiliano per poter competere con un concorrente improvvisamente diventato molto più attrezzato. Telecom Italia ha due sole possibilità: uscire completamente dal mercato sudamericano oppure rafforzare la posizione competitiva di Tim Brasil con una fusione o una acquisizione; in ogni caso la soluzione attuale è perdente nel medio lungo termine sia da un punto di vista strategico, sia da un punto di vista economico-finanziario.

Martedì mattina, così come ieri, Il Sole 24 Ore dava conto di una possibile operazione di fusione tra Tim Brasil e Oi che avrebbe dato vita a una società con il 40% di quota di mercato nel fisso e il 45% circa nel mobile in Brasile. Un’operazione di questo tipo avrebbe certamente senso industriale e altrettanto senso finanziario dato che le sinergie realizzabili sarebbero molto consistenti. Finora la “stampa” si era scatenata sulle ipotesi di prezzo ottenibile dalla cessione di Tim Brasil facendo lievitare i possibili ricavi a cifre (come quelle comprese tra 15 e 20 miliardi di euro) molto lontane dalla realtà. Per questo motivo l’ipotesi di fusione con Oi, certamente sensata, toglie un po’ di appeal al titolo Telecom Italia mentre quella di acquisizione lo toglie del tutto e questo spiega il tonfo di martedì sera a pochi minuti dalla chiusura.

Telecom Italia non è però un gruppo globale e la sua presenza si riduce a due paesi. Il Brasile è sempre andato bene e nelle prossime settimane si saprà quale indirizzo strategico verrà scelto. L’altro Paese sarebbe quello italiano che, comprensibilmente, è uscito dal radar di investitori, stampa e osservatori di ogni ordine e grado. Il settore telecom europeo è però in grande movimento e la convergenza con il settore media sta guidando l’evoluzione. I primi grandi segnali di novità si sono avuti con l’offerta di British Telecom per i diritti calcio live in Inghilterra che ha spiazzato Sky; la storia continua e lunedì l’operatore telefonico francese Bouygues ha lanciato una partnership con l’americana Netflix (famosa tra le altre cose per aver creato la serie “House of cards”) per il mercato francese.

Gli operatori telecom tentano di differenziare la propria offerta associando un contenuto “televisivo” premium sia per fidelizzare la clientela, sia per poter spuntare un prezzo migliore dopo una guerra che ha ridotto moltissimo i loro margini. Questo trend ha impattato le televisioni che hanno assistito a un’impennata dei diritti sportivi live in Europa e negli Stati Uniti. La stessa Telefonica, per anni azionista di maggioranza di Telecom Italia, ha comprato D+ in Spagna ed è entrata in Mediaset premium.

Sistemata la partita brasiliana Telecom Italia si ritroverà volente o nolente alle prese con questa questione che impone scelte strategiche profonde. La rete che veicola contenuti premium è un asset importante dal punto di vista competitivo e riguarda inoltre il “sistema Paese” come elemento di competitività. Netflix non sbarcherà in Italia a breve, ma andrà in altri paesi europei, perché la rete italiana attuale non è in grado di rendere fruibile il suo servizio a un numero sufficiente di persone. Telecom Italia può subire la trasformazione attuale rischiando di finire “fuori mercato” o ritrovarsi a subire strategie altrui se non decide nel breve periodo quale assetto dare alle proprie attività italiane. Finita la saga brasiliana sarà questa la vera sfida per Telecom Italia.