Una delle principali società di gestione del risparmio italiane, Pioneer, posseduta da Unicredit,  troverà presto una nuova compagine azionaria. Unicredit, anche per migliorare i propri requisiti patrimoniali, ha comunicato ieri di aver deciso di scendere nell’azionariato di Pioneer vendendo una quota agli spagnoli del Santander che arriveranno ad avere una quota del 33% paritetica a quella della banca italiana. La rimanente quota sarà detenuta da due fondi di private equity (Warburg Pincus e General Atlantic).



La notizia offre molti spunti di riflessione. Il primo è che la banca spagnola Santander si lancia in un programma di acquisizioni mentre la banca italiana Unicredit deve vendere per sistemare il bilancio. L’operazione che si chiuderà con quote paritetiche, sia per Bloomberg che per il Financial Times, veniva già ieri definita come una vendita a un gruppo guidato dagli spagnoli.



La seconda interpretazione sembra rendere meglio l’idea, anche perché Unicredit è in effetti venditrice e Santander è certamente compratrice e perché, per ora, non c’è niente che somigli a una fusione “carta contro carta”. Ci sono almeno due angoli con cui giudicare l’operazione. Il primo è quello più di mercato e finanziario e ha nel prezzo corrisposto il parametro più importante; esso sarà in linea con le operazioni recenti e quindi buono in un mercato dove la liquidità scorre abbondante. È chiaro però che un’operazione di questo tipo non può essere giudicata solamente sulla base del prezzo o di un multiplo. Diventare soci della terza più grande società italiana di gestione del risparmio con masse per quasi 200 miliardi di euro ha un significato che trascende i ritorni finanziari, non fosse altro per il fatto che è impossibile replicarla. Anche al più geniale dei gestori occorrerebbe qualche decennio per arrivare a tali dimensioni.



Ma non è solo questo il punto; questa ricchezza, i quasi 200 miliardi di euro in gestione, non sono replicabili nel contesto attuale. Per replicare i soldi incassati dai Merloni con la cessione di Indesit a Whirpool servono decenni di leadership in un Paese di 60 milioni di abitanti con un paio di boom economici. Allo stesso modo per “replicare” quei 200 miliardi serve, in un certo senso, essere la terza banca di un Paese che è arrivato a essere la quarta economia del globo. Non è né semplice, né veloce. Nell’attuale contesto di mercato, poi, indirizzare decine di miliardi di euro in questo o quel mercato può spostare equilibri finanziari e determinare i destini di intere aziende. Per questo aziende del genere hanno un valore che non può essere confinato tra le ristrettissime e miopissime logiche di una certa parte del mercato che giudica tutto con un orizzonte temporale massimo di tre o sei mesi. L’annuncio di ieri potrebbe anche preludere a una partnership, ma per il momento l’unica cosa certa è che Unicredit aveva il 100% di Pioneer e in futuro ne avrà il 33%.

Nonostante la recessione economica, la situazione politica “complessa”, il debito statale, il risparmio è ancora oggi una ricchezza dell’Italia ed è sicuramente strategico per il “Paese”. Gli aumenti di capitale delle banche italiane sono stati fatti sul mercato, mentre anche con i risparmi italiani direttamente o per tramite della banche italiane che li gestiscono sono andati in porto collocamenti di bond statali in fasi parecchio complicate. A questo riguardo è pura utopia pensare che quegli stessi capitali sarebbero stati e sarebbero gestiti allo stesso modo da italiani o da francesi piuttosto che da americani secondo pure logiche di mercato. Il tema quindi dovrebbe importare a tutti esattamente come importa a tutti e non solo agli analisti o ai gestori il destino di Fiat in Italia.

L’Italia ha introdotto la cosiddetta “Tobin Tax” che a Londra non si sono neanche nemmeno sognati di valutare (mentre invece si sono comprati la borsa di Milano), mentre a meno di 100 chilometri da Milano si gestiscono soldi pagando molte meno tasse. Così come per Fiat si incrociano interessi particolari, quelli della famiglia Agnelli, e generali, delle decine di migliaia di famiglie che prendono uno stipendio, così per la finanza e il risparmio gestito italiano si incrociano interessi particolari, magari i bonus o le plusvalenze, e interessi generali in termini di indipendenza finanziaria e in termini di finanziamento all’economia domestica, oltre che di persone che gestendo soldi “italiani” prendono e, soprattutto, spendono uno stipendio al di qua delle Alpi invece che nella “City”.

La relazione è probabilmente meno intuitiva in questo caso, ma non per questo meno importante.