Ieri il cambio euro/dollaro ha aggiornato i nuovi minimi dell’anno arrivando molto vicino a 1,31, un livello che non si vedeva da un anno. L’andamento dell’euro è uno dei temi caldi in queste settimane sui mercati e tra gli investitori ed è sicuramente uno dei motivi principali per cui il mercato italiano sta sopravvivendo più che dignitosamente a un altro anno di recessione e alla mancanza di riforme.
Prima di partire per le vacanze con il mercato italiano a 22mila e passa si invocava un indebolimento dell’euro per scongiurare un crollo del listino e per salvare le performance dell’anno. La tesi non è, in realtà, particolarmente complicata o particolarmente per addetti ai lavori: se il dollaro si rafforza o se l’euro si indebolisce è un bene per le aziende italiane ed europee che esportano e che di colpo si trovano con prezzi più competitivi sui mercati globali. Incassare in valuta forte per pagare debiti in valuta debole è certamente un altro effetto positivo.
La sopravvalutazione dell’euro ha tenuto banco per molti mesi e continuerà a essere un tema importante con l’evoluzione delle politiche monetarie di Fed e Bce. La Fed sta ormai considerando i prossimi rialzi dei tassi, forte di dati economici in netto miglioramento che la “obbligano” ad adottare politiche monetarie più restrittive; la Bce, invece, alle prese con dati economici molto deboli e con la deflazione, si appresta a lanciare un Quantitative easing (o almeno questo è quello che si aspetta il mercato dopo le dichiarazioni di Draghi a Jackson Hole).
Settimana scorsa Goldman Sachs ha abbassato il proprio target sul cambio euro dollaro a 12 mesi a 1,20 da quello precedente di 1,30; ovviamente nessuno sa se la previsione si rivelerà esatta, ma la possibilità che ci sia un ulteriore indebolimento dell’euro è concreta. A prima vista sembrerebbe una notizia positiva e basta; l’euro si indebolisce, le esportazioni salgono e quindi le imprese stanno meglio. L’equazione non è particolarmente sbagliata, ma non ci si dovrebbe dimenticare delle ragioni di questo andamento.
Per spiegare meglio prendiamo a prestito qualche riga proprio del report di Goldman di settimana scorsa: “Ci attendiamo un migliore andamento ciclico degli Stati Uniti”. In pratica tutto questo sta accadendo perché l’economia europea, più correttamente alcune sue parti, sono in estrema sofferenza economica mentre quella americana, come confermato dai dati di ieri, è in ripresa. Goldman aggiunge anche che non sono i flussi da fuori Europa verso l’eurozona a essere diminuiti, ma che sia invece ragionevole attendersi un deflusso di soldi “europei” dall’Europa in cerca di rendimenti. In pratica l’investitore europeo che cerca rendimenti guarderà con sempre maggior interesse fuori dall’Europa perché i tassi saranno più alti e perché il cambio dovrebbe giocare a favore. L’indebolimento dell’euro è, oggi, una conseguenza delle difficoltà economiche europee e sicuramente può, nel breve, aiutare le imprese. Non può essere però la soluzione dei problemi.
Le imprese tedesche hanno dimostrato di essere assolutamente competitive con il cambio a 1,40 e l’economia tedesca non ha avuto particolari problemi nonostante l’euro sia stato “sopravvalutato” per molti trimestri. Ci può essere un aggiustamento al ribasso, ma è difficile che i Paesi concorrenti accettino cambi molto più bassi per molto tempo in tempi brevi. Non solo, la concorrenza si gioca anche sull’appetibilità del debito; in questo senso rendimenti bassissimi con un cambio sfavorevole mettono in difficoltà alla lunga chi deve piazzare il debito, a meno che la Bce non decida davvero di comprare tutto.
A questo riguardo però l’esperienza giapponese degli ultimi anni dovrebbe insegnare molto e quantomeno far eliminare questa strategia dall’elenco di quelle di per sé vincenti o risolutive. Il risalto mediatico che ha e avrà l’indebolimento dell’euro più che un motivo di ottimismo dovrebbe in realtà rimanere come monito per la gravità della situazione europea e del fatto che la Bce può solo comprare, nessuno sa ancora per quanto, tempo.