Per decreto legge, ieri il presidente del Consiglio Renzi ha approvato la riforma delle banche popolari con asset superiori agli 8 miliardi di euro; entro 18 mesi gli istituti di credito che rientrano in questa categoria dovranno trasformarsi in Spa eliminando il voto capitario. Prima di qualsiasi considerazione sulle modalità con cui si è arrivati a questa riforma e sulle conseguenze, si deve immediatamente contestualizzare la soglia degli 8 miliardi di euro che a prima vista sembra colossale. All’interno di questa categoria rientra praticamente la stragrande maggioranza del “mondo delle popolari”, incluse banche come Credito Valtellinese o Banca popolare di Sondrio, per non parlare di quei “colossi finanziari” come Ubi Banca, Banco popolare o Banca popolare di Milano.
Per mettere le cose nella giusta prospettiva basta ricordare che la più grande delle popolari italiane, Ubi Banca, capitalizza più o meno come gli utili che fa in un anno Banco Santander. Ma questa distinzione, che probabilmente trarrà in inganno solo chi vuole farsi trarre in inganno con tutte le proprie forze, non è né il punto principale, né la vera questione. Non è neanche la vera questione, ma ci torneremo alla fine, la modalità incredibile con cui si è arrivati a questo decreto con il mercato lasciato in preda alla speculazione peggiore per due giorni.
La vera questione, dicevamo, è in realtà una e una sola. L’ha capita perfettamente il mercato che ai primi “rumours” ha fatto partire rialzi a due cifre conditi da sospensioni per eccesso di rialzo. Le fusioni e le acquisizioni sono la gioia più pura del broker, del banker, del gestore e dell’advisor finanziario, e in questo caso si tratta di un rigore a porta vuota. Le banche popolari oggetto della riforma sono nel cuore del sistema industriale ed economico finanziario italiano, in una delle regioni più ricche e industrializzate d’Europa hanno i conti a posto e i requisiti patrimoniali sistemati dopo una serie di aumenti di capitale fatti a mercato sul mercato (altro che Royal bank of Scotland!). Non hanno nessun azionista di maggioranza, d’altronde sono popolari, e quindi sono il target perfetto per qualsiasi banca estera che voglia portarsi a casa un pezzo pregiatissimo di economia e risparmi europei.
Lo spettro della banca estera non è il parto di una mente malata, ma l’unica conclusione possibile nella realtà materiale di gennaio 2015. Le banche italiane maggiori, Unicredit e Intesa, non possono per motivi di antitrust risolvere autonomamente la questione del consolidamento bancario italiano, le fondazioni andrebbero contro un’opposizione formidabile e gli imprenditori non hanno miliardi di euro per sfidare colossi che prendono a prestito dalla Bce allo zero virgola. Le popolari sono, oltre qualsiasi evidenza, la piattaforma ideale per un gruppo estero anche per il fatto che non ci sarà di fatto nessuna concorrenza locale. Ripetiamo: public companies senza azionisti di maggioranza, redditizie, senza problemi di bilancio, radicate in una della aree più ricche d’Europa.
Solo in un mondo di ingenui senza speranza, o solo in quello di chi è in malafede, si può pensare che un gruppo estero abbia la stessa propensione a investire in Italia di un gruppo tedesco, inglese o spagnolo. A proposito, ci piacerebbe che qualcuno facesse un’analisi delle presenza estera nel sistema bancario spagnolo, francese o tedesco (Hvb di certo non era il fiore all’occhiello del sistema teutonico), mentre da noi si sono viste operazioni discutibili come quella di Abn Amro/Santander su Antonveneta.
Si può dire tutto del e contro il mercato e gli investitori, non che non abbiano capito alla velocità della luce quale sia lo scenario aperto dalla decisione di ieri. I rialzi di lunedì e martedì di certo non sono nati per una particolare compartecipazione ai destini del risparmiatore e dell’impresa italiana così meglio tutelati nelle mani di gruppi esteri tanto moderni ed efficienti (bravissimi, per esempio, a manipolare il Libor). I rialzi sono solo il riflesso incondizionato di chi capisce che tira aria, in questo caso uragano, di Opa.
Dopo ieri sappiamo anche per certo che il sistema finanziario italiano è effettivamente medioevale e arretrato. In quale Paese sviluppato infatti si lascia ballare per due giorni una parte così considerevole del sistema bancario nazionale quotato? Senza, tra l’altro, che nessuno abbia idea di cosa stia effettivamente succedendo. Da ieri una grandissima parte “italiana” del sistema bancario italiano è ufficialmente nelle mani dei mercati senza alcuna mediazione sostanziale e sarà in un clima di massima incertezza proprio in questi mesi decisivi.
In periodo di crisi e restringimento del credito era la ricetta che tutti aspettavamo, perché, si sa, i gruppi esteri saranno buonissimi quando si tratterà di finanziare le Pmi italiane massacrate quotidianamente da tasse, burocrazia impazzita, sistemi giudiziari inefficienti, ecc., e di certo ne capiranno le potenzialità e lotteranno come leoni quando si tratterà di approvare la concessione dei crediti; chissà quali responsabilità nella concessione del credito si prenderà la prima linea del management sapendo che dovrà rispondere a nuovi azionisti a breve. Non parliamo poi dei prestiti allo Stato italiano…
Insomma, per il mercato e per alcuni pochi fortunati con immancabile bonus ieri è stata davvero “#lavoltabuona”; grazie a Renzi of course.