L’avvio vero (dopo la giornata di bassissimi volumi del 2 gennaio) delle borse nel 2015 non passerà alla storia dei successi dei mercati finanziari. Dopo il -5% di lunedì 5 gennaio, la borsa di Milano ha fallito il rimbalzo per due giorni consecutivi e ieri ha bruciato un rialzo del +1% in meno di due ore per chiudere a -0,1%. Questo crollo potrebbe apparire inspiegabile in un periodo normalmente abbastanza scarico di notizie e di eventi societari. Certo, il 29 dicembre, e all’ultimo tentativo disponibile, il Parlamento greco non è riuscito a eleggere il Presidente della Repubblica determinando elezioni anticipate che si dovrebbero concludere con la vittoria del partito “anti-euro” Syriza; Syriza a sua volta potrebbe rifiutare le politiche di austerity adottate finora, il piano di rientro del deficit approvato dall’Europa e, forse, perfino l’euro in quanto tale.

Una prima interpretazione alla debacle di questi giorni potrebbe essere quindi un effetto ritardato, di una settimana e complici le festività natalizie, agli eventi del 29 dicembre. È difficile però circoscrivere l’origine del crollo ai fatti delle ultime due settimane di dicembre sia perché il mercato aveva già “fiutato” quanto stava per accadere, sia perché il problema greco non è così grave da non poter essere isolato o gestito.

L’impressione è che, come spesso accade nell’ultima parte dell’anno, il mercato avesse inserito il pilota automatico già da diverse settimane, se non da mesi, per poter chiudere l’anno serenamente rimandando le decisioni di investimento “vere” all’arrivo del 2015. In altre parole, il -5% di lunedì non è rappresentativo di un improvviso e inspiegabile cambiamento di umore o di un’improvvisa esplosione di volatilità, ma è il sintomo di una visione ponderata e pensata che si è fatta strada negli ultimi mesi e si è consolidata al punto tale da generare scommesse così decise e nette.

L’impressione è confermata anche da quanto finito nei report di alcune delle principali banche d’investimento del globo sulla strategia per il 2015. In questi report spesso sono finiti come elementi di rischio alcune questioni particolarmente delicate e sensibili, in particolare e soprattutto sul futuro dell’eurozona. In sostanza, si sta navigando a vista sapendo che esiste la possibilità concreta che possano emergere elementi in grado di destabilizzare i mercati. Si naviga a vista perché nessuno ha ancora capito come l’Europa intenda affrontare i suoi problemi strutturali rappresentati da intere economie non secondarie in grandissima difficoltà e senza alcun piano credibile di rilancio; il caso italiano è emblematico, e in Borsa si vede, perché la ripresa dello zero virgola che ci si attende per quest’anno non può essere né la soluzione della crisi, né sufficiente per rispondere ai dubbi degli investitori.

Il prossimo test per il mercato sarà la Bce e l’adozione o meno di un piano di Quantitative easing, che il mercato in realtà sta già scontando. Se il mercato decidesse di scommettere “contro” questa evoluzione lo scenario che si è materializzato negli ultimi mesi di calma finanziaria e tassi al 2% sarebbe un’utopia. Quello che si è visto sui mercati nella seconda parte dell’anno, dopo che si è capito che la ripresa in Europa non esisteva, è una finzione basata sulla convinzione che la Bce agisca e contro cui nessuno vuole scommettere cominciando a mettere sotto pressione il debito dei paesi periferici, ma la gravità della situazione reale, quella che emerge dai dati su inflazione e disoccupazione, non sfugge a nessuno.

La Bce potrebbe e dovrebbe garantire ancora, almeno fino a dove arriva l’orizzonte temporale di chi investe, altro tempo di calma finanziaria utilissima, ma non sufficiente per risolvere i problemi. Se la Bce non agisse o non dovesse agire e se l’Europa smettesse di fare quel po’ di sistema che ha fatto finora, la speculazione “cattiva” comincerebbe subito a spostare l’attenzione sui paesi periferici. In questo senso la situazione politica greca aumenta la difficoltà della sfida nel breve termine.

Nel lungo termine è chiaro ormai a tutti che la Bce non può essere la soluzione per paesi a cui manca qualsiasi crescita sostanziale da ormai sette anni; servirebbero una nuova politica europea e riforme vere (burocrazia e amministrazione pubblica su tutti) per far ripartire l’economia. Per il momento concentriamoci, come sta facendo il mercato, su Bce e Grecia nelle prossime settimane.