Mediaset, dopo aver presentato i risultati trimestrali, ha chiuso la giornata con un calo del 9,45%. La giornata borsistica da dimenticare ha diversi aspetti che vale la pena sottolineare. Da un punto di vista finanziario, la reazione può essere presa a esempio di uno scenario di mercato generale che coinvolge le società quotate indipendentemente dal settore e, in un certo senso, dalle loro performance. I mercati azionari, incluso quello italiano, hanno avuto un anno particolarmente positivo eccedendo significativamente l’andamento dell’”economia reale”; uno scenario di tassi bassi crea incentivi molto forti a prendere rischi e a scommettere sul miglioramento dei risultati delle società abbandonando le normali prudenze.
La differenza tra aspettative, risultati attesi e le performance attuali è particolarmente grande; quando i risultati disattendono le attese si scoprono improvvisamente “vuoti d’aria” che in realtà c’erano sempre stati. Il caso di Mediaset di ieri è utile per capire quale sia lo stato dei mercati finanziari nel mondo dei tassi a zero o, come pare sarà prossimamente, sotto zero.
Il secondo aspetto è specifico di Mediaset. La quale ha deciso di puntare forte sui diritti sportivi del calcio live arrivando a strappare l’esclusiva della Champions League alla concorrenza di Sky. La puntata sui diritti sportivi live non è senza costi e, soprattutto, ha richiesto investimenti certi per centinaia di milioni di euro a fronte di ricavi incerti; l’ultima trimestrale ha evidenziato l’incremento dei costi relativo ai diritti per la serie A e per la Champions League. La domanda è quanti nuovi abbonati sottoscriveranno la nuova offerta di Mediaset per poter vedere tutto il calcio considerando che esiste una fetta di mercato che ha Sky, che non vuole disdire e che tentenna prima di farsi carico di un altro costo fisso mensile.
La scommessa di Mediaset è avvenuta in un contesto competitivo complicato, dominato sulla pay per view da Sky e conteso sulla tv tradizionale dalla Rai, che può contare su centinaia di milioni di euro garantiti da una tassa obbligatoria per tutti gli italiani. Più Mediaset investe e rischia, più si pone l’esigenza di un partner industriale che possa accompagnarla in un mercato competitivo fatto anche di player globali in cui crisi economiche o battute d’arresto sono sempre possibili.
È vero che Mediaset è una società “particolare” per le vicende politiche del suo fondatore, ma è pur sempre la principale società televisiva italiana con tutte le conseguenze economiche e di sistema Paese del caso; per esempio, prima di entrare nel mercato americano, in teoria il tempio del libero mercato, Murdoch ha dovuto prendere la cittadinanza a stelle e strisce.
L’ultimo aspetto è quello settoriale. Il fatto che Mediaset, la principale società televisiva privata italiana, deluda sui ricavi pubblicitari non può non far accendere almeno una spia sullo stato di salute vero del settore pubblicitario italiano, che a sua volta ha un legame immediato e diretto con l’economia italiana. Nella letteratura sulla ripresa italiana questa sbavatura è comunque significativa e suggerisce che probabilmente la ripresa è più fragile di quanto venga detto e scritto. In un giorno in cui la seconda banca italiana annuncia quasi settemila licenziamenti in Italia ci si può legittimamente chiedere quanto felici si debba essere per questa “ripresa” che ha come minimo molte macchie scure.
I mercati finanziari vanno bene, lo spread è ai minimi e la Bce si appresta a fare ancora di più; niente fa pensare che questo scenario cambierà a breve, ma quanto siano veloci i cambi d’umore del mercato e quanto care vengano fatte pagare le delusioni si è visto benissimo ieri con Mediaset. La differenza tra attese e risultati reali, tra letteratura sulla ripresa e incrementi percentuali veri può andare avanti ancora e persino aumentare, ma prima o poi bisogna mostrare le carte e far vedere se si è giocato con una coppia o con un poker.