La richiesta di Vivendi di integrare il cda di Telecom Italia con quattro nuovi componenti, indicati ovviamente dal gruppo francese, è diventata una piccola grande saga. Il cda di Telecom Italia programmato per ieri, che avrebbe dovuto decidere l’integrazione all’ordine del giorno dell’assemblea di metà dicembre con la proposta di Vivendi di nominare i suoi rappresentanti in consiglio, è stato rinviato a fine mese. Nella piccola grande saga non è mancata una lettera spedita da Assogestioni al presidente di Telecom Italia contenente alcune osservazioni con cui è oggettivamente molto difficile dissentire.
La lettera intanto porta la “firma” anche di primarie istituzioni finanziarie come, tra le altre, J.P. Morgan, Fidelity e Standard Life. Secondo i firmatari, la richiesta di Vivendi “solleva alcune criticità con riferimento ai nuovi assetti di governance”; in particolare, “si verrebbe a determinare una diluizione nell’ambito del consiglio di amministrazione della rappresentanza dei consiglieri indipendenti” e si avrebbe “la presenza nel consiglio di amministrazione di tre figure apicali, con ruoli esecutivi, del gruppo Vivendi, svincolate dal divieto di concorrenza ai sensi dell’art 2390 del codice civile, che si aggiungerebbero all’altro componente del consiglio di sorveglianza di Vivendi, già presente”.
Vale la pena entrare ulteriormente in dettaglio nelle osservazioni contenute nella lettera. Si sollevano rilievi in particolare sull’”opportunità che siedano nel board tre rappresentanti operativi di un socio qualificato di influenza notevole che sarà così in grado di esercitare una influenza ancora maggiore rispetto a quella derivante dalla percentuale del capitale sociale di Telecom Italia in suo possesso, senza aver lanciato un’offerta pubblica d’acquisto”. In pratica, parafrasando, Vivendi avrà un ruolo decisivo nella gestione di Telecom Italia senza dover lanciare un’opa e con una quota di “appena” il 20%.
Non occorre essere quindi dei pericolosi nazionalisti retrogradi per accorgersi che un’operazione lecita e di mercato come quella di Vivendi su Telecom Italia determina in realtà, da un punto di vista sostanziale, una situazione che rischia di non tutelare il mercato e gli azionisti di minoranza; un gruppo in teoria concorrente a Telecom potrebbe determinarne le strategie generando una situazione in cui possono essere sollevati dei dubbi sul fatto che le decisioni prese siano nell’interesse di tutti gli azionisti Telecom Italia e non solo o in via prioritaria di chi controlla il 20%. È impossibile non ricordare a questo proposito gli appunti che si potevano leggere sul Financial Times sulla governance di Vivendi.
Il secondo punto che vale la pena riprendere è quello in cui i firmatari della lettera sottolineano “la mancanza di chiara informativa circa le intenzioni e gli obiettivi sottesi all’iniziativa di Vivendi”. Anche in questo caso è significativo come la “voce del mercato” evidenzi le stesse perplessità, pur con finalità diverse, di chi si era invece preoccupato degli interessi del “sistema Paese”; nessuno sa perché Vivendi abbia rastrellato il 20% di Telecom Italia e nessuno sa quale sia l’obiettivo strategico o di medio-lungo termine del gruppo francese in una situazione in cui si fanno strada antipaticissimi rumour secondo cui Orange avrebbe un ruolo nella decisione di Vivendi di entrare in Telecom Italia. Il principale azionista di Orange, per la cronaca, è lo Stato francese.
La situazione è surreale. Il principale operatore telecom italiano che controlla un asset strategico e non replicabile per l’economia e il “sistema Paese” è oggetto di un’operazione molto poco chiara e di tentativi di cambiamento della governance che i principali fondi, finanziari, azionisti giudicano inopportuni e preoccupanti. Sono gli stessi azionisti finanziari a chiedere quale siano i veri obiettivi industriali anche se, e potrebbe bastare, è già chiaro che la corporate action che fa così bene al titolo non solo è pienamente in corso, ma è anche probabilmente lontana dall’essere conclusa.
Il governo italiano lascia fare e disfare in una situazione, veramente grottesca, in cui rumours “mettono in mezzo” una società telecom, Orange, il cui principale azionista è invece lo Stato francese. È vero che la storia presente di Telecom Italia è iniziata tanti anni fa, è vero che molte fasi del gruppo sono discutibili sia in termini di governance che di risultati, ma la situazione attuale ha raggiunto un nuovo livello.
Siamo sicuri di due cose: la prima è che in nessun altra economia sviluppata si sarebbe potuto assistere a questo epilogo e alla recente cronaca sul principale operatore telecom; la seconda, dopo la lettera di giovedì, è che nessuno può nemmeno più dire che sia semplicemente il “mercato” in tutto il suo splendore.