L’iniziativa del governo italiano per affrontare le ristrutturazioni di Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e Banca Etruria ha valicato, come facilmente prevedibile, i confini nazionali arrivando anche sulle pagine del Financial Times. Il quotidiano della City ha sottolineato che una delle due linee di credito a servizio del fondo di “salvataggio” è garantita dalla Cassa depositi e prestiti e immediatamente dopo ha citato un professore della New York University secondo cui “la Cdp in Italia è usata come un meccanismo per coprire l’intervento del governo”. Insomma, l’Italia si starebbe distinguendo nuovamente e in negativo per il salvataggio di alcune sue banche con un intervento che sa di aiuto di Stato e con cui si coprono le magagne del sistema bancario. Sarebbe veramente incredibile se la lettura di quanto sta avvenendo oggi in Italia avvenisse dimenticando completamente quello che è avvenuto praticamente in ogni parte del globo, ma non in Italia, dalla crisi del 2008 a oggi.
È una fortunata coincidenza che aiuta a mettere tutto nella giusta prospettiva che queste notizie si leggano proprio una settimana dopo dal ritorno sul mercato di Abn Amro. La quotazione di Abn Amro avvenuta settimana scorsa è la più grande Ipo di una banca europea dall’inizio della crisi finanziaria del 2007/2008. A incassare i proventi della quotazione sul mercato è il governo olandese che era stato costretto a nazionalizzare la banca nel 2008. Abn Amro, coincidenza ancora più curiosa, è la banca che nel 2006 comprò Antonveneta, poi finita in Santander e poi pagata a carissimo prezzo da Montepaschi in un’acquisizione che molto probabilmente ha tanto a che fare con i problemi che la banca toscana ha avuto negli ultimi anni. La quotazione di Abn Amro, dicevamo, ci ricorda quanto gli stati europei e non solo siano stati presenti nel salvataggio di molte banche negli ultimi anni.
Ricordiamo per esempio – e siamo sicuri di dimenticare molti episodi – la statalizzazione di Northern Rock e quella di Royal Bank of Scotland. In questo secondo caso la banca passava per perdite per decine di miliardi di sterline, mentre continuava a pagare bonus, per poi finire tra le braccia del governo inglese. A questi episodi si potrebbero aggiungere gli interventi di “sistema” fatti in Spagna. Ricordiamo anche gli ingentissimi, 100 miliardi di euro, aiuti del governo tedesco alla tedesca Hypo Re finiti con la nazionalizzazione oppure il salvataggio di Commerzbank che ha ancora oggi come azionista principale il governo tedesco.
Potremmo continuare passando dall’altra sponda dell’Oceano citando gli interventi statali a favore delle mitiche Freddie Mac e Fannie Mae. Un’analisi anche sommaria della storia bancaria europea degli ultimi dieci anni dimostra che l’intervento statale a supporto delle banche nazionali è una regola e non l’eccezione e che in questa storia si è letta più volte la parola statalizzazione.
In questo scenario, la garanzia della Cassa depositi e prestiti è praticamente meno di un’aspirina in un mondo dove si sono viste cure da cavallo. Non dovrebbe essere quindi esserci posto per particolari sensi di colpa o complessi di inferiorità. C’è invece spazio per il rammarico di non aver saputo sfruttare un’ampissima finestra in cui il resto d’Europa ristrutturava a spese dei contribuenti il sistema bancario senza praticamente alcun ritegno. Se la finestra come pare si sta per chiudere, sempre ammesso che non si sia già chiusa, si dovrebbe solo osare di più per mettere il sistema bancario in quanto tale in condizione di supportare la crescita o eventualmente reggere un’altra crisi.
Le critiche dei giornali in inglese, o in tedesco, lasciano davvero il tempo che trovano e nessun “governo” è nella posizione di poter dare lezioni di “mercato”, soprattutto se ancora pesantissimamente e direttamente implicato nella gestione di banche e società finanziarie.