L’ultimo colpo di scena della saga Telecom Italia è arrivato giovedì sera a mercati chiusi, quando si è appresa la decisione del gruppo telefonico di procedere alla conversione delle azioni di risparmio in ordinarie. L’operazione ha ovvi riflessi finanziari che riguardano da vicino chiunque abbia investito in titoli Telecom Italia per ottenere un rendimento; in particolare, l’operazione ha determinato un rialzo delle azioni di risparmio di oltre il 5% nella giornata di venerdì con le ordinarie invece in calo del 2,4%. La conversione delle risparmio in ordinarie ha però conseguenze significative sulla governance del gruppo tanto più importanti se si considerano le recenti mosse di Vivendi, salita oltre il 20%, e quelle di Niel che detiene opzioni per una partecipazione di circa il 15%. Le percentuali appena citate e quelle riprese dai principali organi di informazione si riferiscono al capitale ordinario. La conversione delle risparmio in ordinarie “diluisce” la partecipazione di tutti gli azionisti ordinari di Telecom che si troveranno molte azioni ordinarie in più che, a loro volta, danno diritto al voto in tutte le assemblee.

Dopo la conversione delle risparmio, la partecipazione di Vivendi passa da poco più del 20% al 14% circa, mentre quella di Niel dal 10% circa (escludendo l’equity swap) a circa il 7%. Questi calcoli presuppongono l’assunto che nessuno dei due azionisti francesi abbia azioni di risparmio il cui possesso, secondo la legge italiana, non deve essere comunicato ed è “anonimo”. L’altra grande osservazione che occorre premettere è che la conversione delle risparmio in ordinarie era sul tavolo da molti anni e la sua realizzazione sarebbe molto probabilmente arrivata comunque.

È in ogni caso rilevante che la conversione sia alla fine arrivata in una fase in cui la corporate action su Telecom Italia è ai livelli più alti degli ultimi anni; per ottenere gli stessi voti di prima in assemblea ordinaria Vivendi dovrà spendere ancora qualche centinaia di milioni di euro oppure si dovrà accontentare di una percentuale più bassa; in questo senso la conversione è una complicazione per chi voglia assicurarsi il controllo sostanziale sulla società. La conversione complica infine un quadro che già era particolarmente confuso e difficile da leggere e in cui non si capisce quali siano veramente gli interessi e gli obiettivi in gioco degli attori in campo.

Vivendi in teoria aveva abbandonato il settore telecom per concentrarsi sui media e invece ha costruito una posizione da azionista di maggioranza relativa in un operatore telecom importante su scala continentale, se non altro perché leader in un mercato grande come l’Italia. L’apparante o reale contraddizione solleva ovviamente dubbi sulle intenzioni finali del gruppo guidato da Bollorè e fa avanzare ipotesi su potenziali partner o sponsor, per ora ignoti, dell’operazione di acquisto di titoli Telecom Italia. Niel, invece, che sarebbe in teoria l’investitore industriale e che tale viene considerato in Francia, ha costruito una posizione che sembra fatta per giocare la corporate action su Telecom Italia in chiave finanziaria; in teoria invece sarebbe quello con le carte e il curriculum migliori per candidarsi a investitore industriale. In tutto questo ci sono i progetti del governo per garantire gli investimenti in banda larga che coinvolgono anche Enel.

Quello che si sa per certo è che fino a ieri su quasi il 40% del capitale ordinario di Telecom Italia c’era la firma di appena due investitori; con la conversione delle risparmio le lancette tornano un po’ indietro, ma niente impedisce che si ristabilisca la situazione “percentuale” ante-conversione con altre opzioni o acquisti. Questa situazione azionaria rende facilmente realizzabili cambi di proprietà o di controllo, non fosse altro per il fatto che per raccogliere un pacchetto appena sotto la soglia d’Opa ci si può rivolgere a una sola persona chiudendo l’acquisto in poco tempo.

La compagine azionaria potrebbe in sostanza essere anche molto diversa in tempi relativamente brevi; se il governo ha un disegno per costruire uno schema regolamentare o societario in cui ci siano incentivi a investire in rete fissa o se vuole una public company per un asset così strategico o un azionista “italiano”, allora è il caso che faccia in fretta perché il prossimo azionista di maggioranza di Telecom Italia potrebbe essere un nome o una società telecom europea nuova con legittime aspettative di ritorno e interessi non necessariamente coincidenti con quelli del “sistema Paese”.