Le conseguenze del decreto del governo che obbligherà le banche popolari a diventare public company contendibili sul mercato ha già prodotto e sta anche in questi giorni continuando a produrre alcune conseguenze facilmente individuabili. L’osservazione di quanto sta avvenendo realmente aiuta più di qualsiasi altro ragionamento, discorso o audizione a capire la portata della decisione presa dal governo.



La prima evidentissima conseguenza è che oggi gli amministratori delegati e la prima linea del management di una parte così rilevante del sistema bancario italiano è impegnato in discussioni, negoziazioni e trattative per decidere chi si fonderà e come. In pratica in una fase economica che definire delicata è poco, tra venti di guerra e ipotesi di spaccatura dell’euro, il management delle banche invece che occuparsi di crediti si occupa di M&A, concambi e così via. La prossima ondata di fusioni e acquisizioni è diventata la priorità numero uno, due e tre del management del 30% del sistema bancario italiano. Siamo certi che questo è molto importante per imprese e correntisti.



La seconda conseguenza è che sul mercato si è “scatenata” la speculazione peggiore, quella più antipatica e di breve periodo. Non si capisce davvero chi posso credere che l’exploit delle banche popolari possa essere legato a ipotesi di creazione di valore di lungo periodo su cui è lecito dubitare e sicuramente indimostrabili, soprattutto in una fase in cui l’investitore di lungo periodo si deve chiedere perfino se ci sarà ancora l’euro.

L’investitore di lungo periodo ha due questioni principali da risolvere prima di investire su una banca regionale italiana: la prima e nettamente più importante è quella sulle prospettive economiche italiane, la seconda è quella sulla solidità degli attivi. La trasformazione in spa delle popolari non ha nessun impatto sulla prima questione, mentre per la seconda è davvero impossibile non contemplare nella propria analisi gli esempi fulgidissimi che ci hanno dato alcune public companies quotate e tenute in grandissima considerazione dalle agenzie di rating come Lehman Brothers, Northern Rock, Bear Stearns passando per quelle nazionalizzate in Europa. È più comprensibile, verificabile e controllabile un investimento in una banca che sostanzialmente e persino con qualche svarione investe sicuramente e principalmente nel territorio dove ha la filiali o in una che naviga le agitatissime acque dei mercati finanziari globali magari con strumenti finanziari complessi e opachi? La risposta è talmente evidente per un investitore serio e di lungo periodo che non vale neanche la pena di spenderci troppi discorsi.



Nessun investitore ma proprio nessuno si beve la favola dei benefici di lungo termine della trasformazione in spa. Quello che si sta comprando è innanzitutto la contendibilità e poi le efficienze; le efficienze però non fatte con i modi e i tempi degli italiani, arretrati e paternalisti, che ancora si fanno scrupoli a lasciare a casa la gente da un giorno all’altro, ma con quelli degli investitori globali che devono rientrare il più in fretta possibile dell’investimento. Questo è quello che c’è sul tavolo al di là dei ragionamenti che finiscono su certi giornali sui benefici della public companies guardati con un misto di tenerezza e divertimento da quelli che comprano per fare performance e hanno capito immediatamente che c’è solo e soltanto tantissimo valore finanziario da creare nel breve.

La terza conseguenza è che un terzo del sistema bancario nostrano rimarrà quotato senza alcun azionista di controllo stabile italiano di lungo periodo. È evidente e palese che questa fetta del sistema finanziario verrà consegnata e messa sull’altare dei mercati finanziari globali e di investitori che gestiscono masse per centinaia di miliardi di euro senza nessun tipo di mediazione. A questo riguardo ci sono due posizioni: la prima è quella di chi pensa che i mercati finanziari globali siano una forza neutra e positiva che costringe a massimizzare il valore per gli azionisti e che quindi è benefica in quanto tale; la seconda è quella di chi guarda con sospetto il mercato lasciato a se stesso in cui logiche di massimizzazione del profitto di breve sono irresistibili per il percettore di bonus o salari annuali, che sono fuori dal grafico rispetto a una persona normale, e in cui qualsiasi considerazione di medio periodo o di beneficio per l’economia (per non parlare di bene comune) è solo un ragionamento lunare più che incomprensibile e sostanzialmente incontemplabile.

Chi vogliamo che controlli i risparmi e i prestiti alle imprese? Di più, la ripresa che si vuole è quella dei corsi azionari per i pochi fortunati che beneficiano delle grandi svendite o dell’economia per tutti? Se la priorità numero uno del governo è la riforma delle popolari e non quella, per esempio, dell’amministrazione pubblica che fa sudare mesi per un permesso certi dubbi diventano leciti.

 

P.S.: Se occorrerà privatizzare l’Eni o l’Enel o qualcos’altro sarebbe possibile avere una bozza in tempi congrui? Promettiamo e giuriamo che qualsiasi decisione di investimento verrà presa in un’ottica di lungo periodo e esclusivamente come scommessa su sinergie industriali…